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17:00:06 CASERTA. Quando e perché nasce la vostra associazione e quali obiettivi persegue? 

L’Associazione Spazio Donna nasce nel 1990 da un gruppo ristretto di donne, che negli anni Settanta ed Ottanta avevano dato vita a Caserta al Collettivo Femminista di Vico Solfanelli.

Nasce su un’utopia, quella di poter affermare i valori del femminismo e soprattutto fare in modo che non andasse perso il cammino, che era stato realizzato dal Collettivo Femminista di Caserta, le conquiste ottenute sia a livello locali che nazionali, continuando a dare vita e concretezza alla cultura e alla politica femminista.

Quali figure professionali operano nella vostra attività di volontariato per il recupero delle donne in difficoltà? 

L’Associazione Spazio Donna, quando nacque, accolse subito in sé numerose donne, che provenivano da più esperienze politiche trasversali, poi, nel tempo, crescendo, si è articolata in varie strutture. Infatti, dopo due o tre anni dalla sua nascita, fu attivato il Telefono Rosa-Recapito Donna, una linea telefonica che ci mettesse in contatto ed in relazione con altre donne, anche lontane, e che ci potesse dare prontezza dell’universo femminile nella nostra Regione, nella nostra città, nella nostra provincia.

All’inizio le telefonate al Telefono Rosa erano semplicemente di richiesta di informazione, per conoscerci o per organizzare eventi culturali, al fine di creare una rete più vasta. Poi, di lì a poco tempo, dopo qualche anno, cominciarono le telefonate di donne che denunciavano atti di violenza, stupri, molestie, stalking: capimmo che qualcosa stava per cambiare. 

A Caserta quando è stato istituito il primo centro di accoglienza per le donne in difficoltà? 

A Casagiove nel lontano 1998 aprimmo la prima casa-rifugio. Le donne che si rivolgevano a noi non volevano solo una consulenza, non volevano solo indicazioni circa il miglior percorso legale da intraprendere: molte donne volevano e dovevano scappare. Fu questa la necessità di aprire a Casagiove la prima casa-rifugio, il ‘Nido Rosa’, grazie alla preziosa collaborazione dell’allora sindaco Giuseppe Vozza. Il ‘Nido Rosa’ è stata la prima casa-rifugio del meridione d’Italia.

Nacque in un momento in cui ancora i servizi sociali non erano articolati come lo sono oggi. Noi accoglievamo le donne senza avere alcun  contatto o quasi con le istituzioni, se non talvolta con i servizi sociali. Avevamo il pieno sostegno dell’ente Comune. Questo però nel tempo è cambiato, perché la violenza sulle donne è andato via via aumentando ed è venuto pienamente alla luce, perché le donne hanno preso coscienza e consapevolezza che violenze quotidiane, piccole o grandi che fossero, non erano ‘normali’, ma erano veri e propri soprusi. 

Quanti centri anti-violenza e case-rifugio avete creato sul territorio casertano? 

Con il tempo siamo arrivati a creare a Caserta una rete di servizi, che comprende tre centri anti-violenza. Uno è rimasto il Telefono Rosa, che da semplice linea telefonica si è trasformato in uno sportello di accoglienza delle donne, l’altro è il centro anti-violenza a Marcianise, in via Tagliamento n. 2, ed infine vi è il centro anti-violenza di Piedimonte Matese, che si trova presso la struttura salesiana, in un locale che ci è stato dato in comodato d’uso. Due case-rifugio sono poi anche a Caserta e nell’alto Matese. 

Lavorate in sinergia con le Istituzioni? L’amministrazione comunale che ruolo ha in tutto questo? Vi è di aiuto? 

Il punto critico è nel rapporto con le Istituzioni, perché nel tempo quelle che erano organizzazioni femministe sono diventate delle vere e proprie strutture, che dipendono dagli ambiti territoriali e dai servizi sociali. Hanno avuto un regolamento e hanno bisogno per funzionare di avere un’autorizzazione ed un accreditamento presso la Regione Campania e presso gli ambiti.

È una storia che ci appartiene poco, ma è una storia che ci costringe molto, perché ci hanno dato delle regole, che non rispettano assolutamente il nostro modo di procedere e di lavorare, ma a cui noi dobbiamo sottostare. Ci sono però delle regole che noi cerchiamo di non seguire, perché non  vincolanti. Per esempio, ci sono centri anti-violenza, in cui lavorano uomini; ovviamente, noi siamo tutte donne e lavoriamo con la relazione tra donne. 

Quali donne si rivolgono alla vostra associazione? 

Le donne che si rivolgono a noi sono donne di tutti i tipi, di tutte le classi sociali, di tutte le età. Per esempio, il Telefono Rosa-Recapito Donna di Caserta, il centro anti-violenza della  nostra città, ha avuto nel 2021 67 donne, che si sono rivolte a noi e che hanno seguito un percorso. Di queste donne molte sono casalinghe, altre studentesse, altre lavorano ed occupano anche posti importanti.

Tutte denunciano violenze psicologiche, economiche, ed ovviamente il buon 50% denuncia maltrattamenti e violenze fisiche. In genere, sono i partner che vengono indicati come gli autori della violenza. Moltissime di queste donne arrivano a noi attraverso il passaparola, alcune attraverso il numero nazionale gratuito anti-violenza 1522. Soprattutto per la disponibilità h24, che garantisco io, chiamando al numero 1522, una segreteria telefonica passa direttamente il mio numero di telefono. Infatti, mi chiamano molte donne di nazionalità italiana, ma anche  straniera. C’è poi una percentuale che arriva a noi attraverso i social e attraverso la promozione che noi riusciamo a fare dei nostri servizi. 

Raccontare 32 anni è difficilissimo. Noi abbiamo da sempre accolto e sostenuto donne di etnie diverse, che provengono da paesi diversi, con lingua e culture diverse dalla nostra, donne ucraine, rumene, bulgare, donne immigrate, che hanno fatto il doloroso viaggio per arrivare nel nostro paese. Noi siamo abituate a lavorare in una zona di guerra. Tutto quello che si è messo in moto per l’Ucraina  dovrebbe essere fatto anche per i paesi dell’Africa, dove persistono da anni le guerre, e per tutti gli altri paesi del mondo, dove si muore per la guerra e si muore di stenti.

Perché, secondo lei, tutta questa violenza contro le donne? 

Agli uomini piace fare la guerra. È come se ci fosse un doppio legame: da una parte c’è questo affilato verso la pace universale, dall’altra ogni occasione è buona per farsi la guerra. Noi accogliamo vittime di una guerra, la guerra del patriarcato contro il genere femminile. È una guerra che ha donne morte, donne ferite, bambini innocenti morti, molto spesso uccisi, uomini che si uccidono, dopo aver ucciso, perché non sono in grado di affrontare la responsabilità degli atti che hanno commesso, bambini che rimangono orfani, bambini che assistono alla violenza per molti giorni e per tanti anni e che diventeranno uomini e donne, che porteranno dentro di sé delle cicatrici enormi.

La guerra non ci spaventa, perché è una costante della nostra vita. Ci sono le faide familiari. I pranzi domenicali spesso sono occasioni per guerre familiari, che non sempre finiscono bene. Questa violenza continua e costante nel mondo pare che nasca con noi, dalle piccole cose. A quanti uomini sento dire, riferendosi alla propria compagna: “Le farò la guerra fino alla morte”. 

Quanti bambini riferiscono: “Mamma e papà si facevano la guerra”. Guerra è una parola che viene usata in mille modi. Pare che agli uomini faccia piacere affrontare momenti di dolore attraverso atteggiamenti violenti, come se ci fosse un fascino nel procurare sofferenza, quando tutte le cose potrebbero essere risolte diversamente. Un dissidio familiare, per esempio, si potrebbe risolvere tranquillamente, sedendosi intorno ad un tavolo con una separazione consensuale, con un divorzio, invece diventa una guerra contro il marito, contro la moglie, contro i figli. 

Come sarebbe possibile attivare una campagna di informazione e di sensibilizzazione per scongiurare il fenomeno del femminicidio, ormai così frequente nel nostro paese? 

Noi, come Associazione Spazio Donna, facciamo formazione continua per donne rifugiate politiche; infatti, abbiamo realizzato un progetto con D.i.Re, l’associazione nazionale che raccoglie in sé tutti i centri anti-violenza e le case-rifugio. Realizziamo poi anche una formazione specifica, perché ci sia in tutti i centri anti-violenza a disposizione sempre una mediatrice culturale. Lavorare con donne straniere significa abituarsi ad affrontare culture e linguaggi diversi, ma poi alla fine la violenza è sempre la stessa. Il patriarcato si coniuga diversamente, ma la sua asprezza, il suo potere è sempre il medesimo per qualunque cultura e per qualunque donna. 

Alessandra Natale 


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