CASTELVOLTURNO. Dopo cinque ore di camera di consiglio, la Seconda Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza di assoluzione nei confronti di Cerullo Raffaele detto Elio, originario di Castel Volturno, cinquantasei anni, e titolare di un autodromo con annessa pista di go - kart situato sul litorale domitio.
Accolte in pieno le ragioni dei suoi difensori l’avvocato Raffaele Gaetano Crisileo e l’avv. Vittorio Giaquinto. La sentenza di primo grado era stata emessa l’anno scorso dalla Prima Sezione Penale Collegiale del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – Presidente Rosa Stravino - e contro quel giudizio assolutorio con formula piena aveva proposto appello la Procura della Direzione Distrettuale di Napoli. Appello che era stato coltivato anche dal Procuratore Generale di udienza che, nella udienza passata, aveva chiesta la riforma del verdetto assolutorio di primo grado ed una condanna di Cerullo Raffaele detto Elio ad addirittura a nove anni di reclusione. L’imprenditore castellano Cerullo, originario del posto, rispondeva di concorso in estorsione aggravata dal metodo camorristico e, prima di essere stato assolto in primo grado, aveva subito una carcerazione preventiva di circa due anni di reclusione nel penitenziario di Santa Maria Capua Vetere. Dopo sei anni dai fatti e dopo un doppio verdetto assolutorio, a questo punto finisce l’incubo per l’imprenditore che era stato accusato da due collaboratori di giustizia, Diana Tammaro ed Emilio di Caterino che avevano massicciamente puntato l’indice nei suoi confronti e lo avevano accusato di far parte dell’ ala bidognettiana del clan dei casalesi e di essere stato da un lato l’intermediario e dall’altro lato colui che aveva materialmente preso e consegnato il denato da un imprenditore di calcestruzzo dell’hinterland napoletano che stava effettuando i lavori sulla domiziana ad emissari del clan mafioso del luogo. Gia in primo grado i due difensori del Cerullo - durante il controesame dei collaboratori di giustizia - avevano scardinato l’impianto accusatorio dei collaboratori e l’impianto della Pubblica Accusa non aveva retto al vaglio dibattimentale. La Corte di Appello, in definitiva, acccogliendo le ragioni degli avv. Crisileo e Giaquinto ha disatteso in pieno le ragioni poste a fondamento dell’atto di appello del Pubblico Ministero della Direzione Distrettuale Antimafia perché non era riuscito ad apportare alcun elemento di novità.