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11:25:08 Intenso momento di attività didattiche e culturali per l’Istituto don Gnocchi di Maddaloni, guidato dalla dirigente scolastica Annamaria Lettieri. Sono stati aperti i bandi di iscrizione alla seconda annualità dei progetti “Scuola Viva” e nello stesso tempo continuano gli incontri d’autore.

L’ultimo, interessantissimo, con autore che unisce un sottile senso dell’ironia con la capacità di suscitare una riflessione profonda riguardo ai problemi dell’Italia e del Sud: Pino Imperatore, che abbiamo avuto il piacere di intervistare.

I moduli di Scuola Viva sono vari: si va dalla educazione alimentare del progetto “Colto e Mangiato”, alla riproposizione di attività che nello scorso anno hanno suscitato grande interesse, come quelli sulla educazione all’utilizzo del digitale, sul fumetto, sulla moda (con la elaborazione di costumi per il teatro), sulla ceramica e infine quello – sempre spettacolare – sulla tamorra.

Questi moduli sono indirizzati agli studenti e nello stesso tempo aperti ai giovani del territorio fino all’età di venti cinque anni. Le iscrizioni sono aperte. Alcuni rientrano nelle esperienze dell’alternanza scuola-lavoro e più in generale sono validi per la maturazione di crediti scolasti. La dirigente Lettieri sottolinea che il loro dispiegarsi in orario pomeridiano evita ogni intralcio con le attività curriculari del mattino.

Per quanto concerne gli incontri con gli autori, l’aula magna del don Gnocchi ha accolto intellettuali di tutto rispetto che hanno presentato le loro ultime opere. Ricordiamo Giuseppe Russo con il suo saggio storiografico sui bombardamenti nel corso della seconda guerra mondiale (“I caduti di pietra”, edizioni Photocity), il professor Sandro de Fazi con il suo approfondito studio su Virgilio e il suo rapporto, anche abbastanza enigmatico, con l’Eneide (“Il dramma dell’ultimo Virgilio”, edizioni Saecula) e per ultimo Pino Imperatore che ha presentato “Questa scuola non è un albergo” edito da Giunti.

“Questa scuola non è un albergo” … Cosa è e chi vi “abita”?

Il protagonista principale del romanzo è Angelo D’Amore, che vive a San Giovanni a Teduccio, quartiere di Napoli, con il padre Lorenzo, una sorellina che si chiama Gioia ed è straordinariamente intuitiva e vivace e un simpatico pappagallo parlante di nome Cico. Angelo è orfano di madre, persa due anni prima al largo di Ischia e Capri; una tempesta spinse la donna in acqua, ma sugli ultimi istanti della sua vita c’è un mistero. Il padre è sempre stato reticente riguardo a ciò che realmente accadde, e Angelo per tutto il romanzo gli chiederà di sciogliere il mistero. Insieme a questi personaggi ce ne sono tanti altri, che danno vita a episodi scoppiettanti.

Come si inserisce la scuola in questo contesto?

La trama del libro si sviluppa nell’arco di un anno scolastico, l’anno della maturità per Angelo, e i capitoli sono alternati: gli episodi della vita personale e familiare del ragazzo si intrecciano con i ritmi della vita scolastica: le interrogazioni, i rapporti con i professori e i compagni, la gita scolastica…

Come ne esce l’istituzione scolastica da questo quadro?

In modo molto positivo, perché io credo che ci siano delle eccellenze soprattutto in Campania e un universo formativo sconosciuto ai più. È l’esperienza che ho avuto passando in rassegna molti istituti scolastici.

La famosa foresta che cresce che non fa rumore rispetto all’albero che cade. In che modo il tuo libro intende dare un contributo al lavoro educativo di oggi?

Il mio è sostanzialmente un romanzo di formazione, per questo è molto letto dai ragazzi e anche dai docenti: tende a diffondere idee legate alla maturazione, al valore della conoscenza, alla consapevolezza che per raggiungere risultati occorrano sacrifici e all’idea che il bene può vincere. Angelo nonostante tutti i suoi problemi (il padre a un certo punto perde il lavoro e cade in depressione) vive una vita molto intensa, è solidale, generoso, sa di trovarsi davanti a una tappa importante della propria esistenza che lo porterà alla maturità e gli aprirà le porte al futuro.

Un classico romanzo di formazione della scuola italiana, il libro “Cuore”, fu contestato, diciamo pure dileggiato durante il ’68 (anche da Umberto Eco che ne fece una caustica parodia). Oggi – è chiaro – non sono più tempi da libro “Cuore”, ma qual è la sua opinione riguardo al grande cambiamento del ’68 e alle sue conseguenze? Quale potrebbe essere un nuovo modello di scuola?

Quell’anno, con tutto ciò che rappresentò in termini di cambiamenti negli stili di vita e nella mentalità, rimane straordinario: la naturale conclusione di un processo che era già in corso da tempo. Che cosa sia accaduto poi, e se quel periodo rivoluzionario abbia dato frutti o meno, è un discorso complesso che richiederebbe una trattazione a parte. Io comunque reputo quel periodo molto positivo e propositivo.

Anche la Rivoluzione Francese a un certo punto finì nel Terrore…

Oggi non penso che possa esservi un unico modello formativo. Credo che ogni istituto debba dotarsi di un modo di agire che tenga conto delle singole individualità degli studenti e anche della loro provenienza sociale, delle loro attitudini e del contesto in cui vivono, senza costringerli a fare cose soltanto legate al programma scolastico tradizionale, ma aiutandoli a esprimere quello che sentono dentro. L’accoglienza davvero lusinghiera che in molte scuole ha avuto il mio libro mi spinge a pensare che, se stimolati, i ragazzi reagiscono in maniera creativa ed entusiastica. Ciò dimostra che è una strategia vincente dare ai ragazzi il loro spazio, dare loro la possibilità di esprimersi, indirizzandoli nel modo giusto. La De Cecco, la preside del mio romanzo, l’ho tratteggiata come una donna forte, severa e nello stesso tempo democratica. Il suo motto è: “Fate ciò che volete, ma studiate ed evitate le strade che portano alla violenza, al male”.

Il tuo ultimo romanzo, “Allah, san Gennaro e i tre kamikaze”, affronta un tema delicato: dove finisce l’Islam e dove comincia il terrorismo?

Per realizzare questo libro ho dovuto analizzare attentamente lo scenario attuale e ho anche sentito il bisogno di entrare nella psicologia dei terroristi. Nella loro fase di affiliazione, la motivazione di carattere religioso non è affatto al primo posto: le indagini fatte dagli esperti in Europa hanno stabilito che gli attentati compiuti da noi sono di norma il frutto di scelte realizzate ragazzi nati in Europa, figli di immigrati di seconda o terza generazione; nella maggior parte dei casi sono giovani che non hanno neppure letto il Corano, se si esclude qualche versetto.

Una situazione di spaesamento, insomma.

Sono fondamentalmente combattuti tra l’educazione ricevuta dalle loro famiglie e la civiltà occidentale, che propone altri modelli. Spesso sono disoccupati o hanno problemi di tossicodipendenza, e alcuni sono psicologicamente molto fragili. Su di loro organizzazioni come l’Isis, nonostante le sconfitte militari subite, continuano ad esercitare un certo fascino, reclutandoli soprattutto mediante il web. Il processo di radicalizzazione è spesso molto rapido e criptico, difficile da intercettare prima che si trasformi in un comportamento distruttivo.

E san Gennaro?

Ha un ruolo molto importante. La trama del romanzo si dipana nel corso di un ipotetico mese di settembre, quando c’è la festività del patrono di Napoli. Poiché uno dei tre aspiranti kamikaze, Feisal, ha avuto il compito di individuare come obiettivo un luogo turistico o di culto importante, la mattina del 19 settembre si presenta davanti al Duomo e assiste alla funzione che porterà allo scioglimento del sangue del santo. Lui islamico rimane molto colpito dall’intensa religiosità partenopea, che è un po’ un misto di sacro e profano.

Anche di pagano…

Certo. La storia testimonia un rapporto viscerale tra la città e san Gennaro, eletto a furor di popolo patrono e protettore di Napoli insieme ad altri 51 “compatroni”. Da questo punto di vista Napoli detiene un record difficilmente eguagliabile.

A.P.


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