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11:01:41 CAIAZZO. Si è chiusa oggi (e si spera!) una lunga contesa tra i due maggiori esercizi commerciali di Caiazzo.

La vincente Golden Market (rapp.ta e difesa dall’avv. Maurizio Ricciardi Federico) contro il comune di Caiazzo (rapp.to e difeso dall’avv. Antonio Romano), la Ipervolturno (rapp.ta e difesa dal prof. avv. Felice Laudadio) ed altri soggetti (pubblici e privati) pure coinvolti in giudizio non costituiti in giudizio.

I Giudici di Palazzo Spada hanno posto rimedio alle tante illegittimità oramai definitivamente acclarate, così come riportato nella interessante sentenza di seguito riprodotta.

Uno dei profili di maggior interesse  della complessa e peculiare vicenda  è la possibilità riconosciuta dal Consiglio di Stato di impugnare a distanza di anni titoli edilizi che assumono portata lesiva soltanto, e nella misura in cui, attentano ad interessi commerciali analoghi.

In altri termini, un titolo edilizio assume portata lesiva allorquando lede per il tramite della connessa  autorizzazione commerciale un interesse antagonista e, di conseguenza, può essere impugnato anche a distanza di tempo prevalendo il principio di liceità.

Nella specie, l’autorizzazione commerciale n.1 del 2011 veniva impugnata e con essa anche i titoli edilizi rilasciati dal comune a monte della stessa che ledevano gli interessi della Golden Marcket in quanto si ritrovava sul territorio un antagonista.

Sentenza del Consiglio di Stato rivoluzionaria se si pone mente al fatto che il TAR in primo grado, lasciando prevalere il principio di stabilità dell’atto amm.vo  aveva dichiarato inammissibile il ricorso con il quale venivano impugnate anche le concessioni edilizie rilasciate decenni prima, ovvero, ancor prima dell’acquisto del complesso da parte della Ipervolturno.

Di seguito, si riproduce per intero la corposa decisione del Consiglio di Stato.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8914 del 2012, proposto dalla società Golden Market Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Maurizio Ricciardi Federico, domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, 13; contro Comune di Caiazzo, in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Romano, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, largo Lanciani, 1; Regione Campania, Azienda Sanitaria Locale di Caserta, non costituite in giudizio; nei confronti di Iper Volturno Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Felice Laudadio, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G. G. Belli, 39; Lauretta Fazzone, Multicedi Srl, non costituite in giudizio; per la riforma della sentenza del T.a.r. per la Campania, Napoli, Sezione VIII, n. 4987 del 6 dicembre 2012, resa tra le parti, concernente annullamento dell’autorizzazione commerciale per media struttura di vendita e, quali atti presupposti, delle concessioni edilizie rilasciate in favore della controinteressata;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’appellato Comune di Caiazzo e dell’intimata società Iper Volturno Srl; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 settembre 2017 il consigliere Daniela Di Carlo e uditi per le parti gli avvocati F. Ricciardi, A. Romano, F. Laudadio; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

  1. La controversia riguarda l’impugnazione proposta dalla società Golden Market s.r.l. per ottenere l’annullamento dell’autorizzazione commerciale n. 1 del 26 maggio 2011 (prot. n. 6078), rilasciata dal comune di Caiazzo in favore della società Iper Volturno s.r.l.; nonché dei seguenti atti presupposti: 1) le concessioni edilizie n. 2/9 del 23 agosto 1979 e n. 1/118 del 5 febbraio 1982; 2) ove esistente, l’autorizzazione commerciale alla vendita di autovetture presso l’immobile assentito con i predetti titoli edilizi; 3) la deliberazione del consiglio comunale di Caiazzo n. 253 del 22 settembre 1980; 4) la relazione dell’Ufficio tecnico comunale di Caiazzo del 23 maggio 1983; 5) l’atto del sindaco del comune di Caiazzo n. 1/175 del 24 maggio 1983; 6) i permessi di costruire n. 33 dell’8 giugno 2007 (unitamente al parere favorevole del responsabile del Servizio del 24 maggio 2007); n. 110 del 14 dicembre 2009 (unitamente al parere favorevole del responsabile del Servizio del 3 dicembre 2009) e n. 58 del 2 agosto 2010 (unitamente al parere favorevole del responsabile del Servizio del 9 luglio 2010); 7) la determinazione integrativa n. 110 del 13 dicembre 2007; 8) le deliberazioni del consiglio comunale di Caiazzo n. 24 del 12 giugno 2001, n. 32 del 30 luglio 2001, n. 52 del 28 dicembre 2001, ove lesive; 9) la nota dell’ASL di Caserta, prot. n. 2927, del 10 marzo 2011; 10) il parere legale reso al Comune di Caiazzo il 19 maggio 2011 (prot. n. 5823); 11) la relazione del responsabile del procedimento, prot. n. 6065, del 25 maggio 2011; 12) la nota del Comune di Caiazzo, prot. n. 6069, del 26 maggio 2011; 13) i certificati di agibilità rilasciati in relazione all’immobile assentito con i citati titoli edilizi. 1.1. La ricorrente, odierna appellante, esercita attività di vendita al dettaglio per concentrazione (settore merceologico misto, alimentare e non alimentare), in forza di autorizzazione commerciale n. 1 del 16 agosto 2001 (volturata il 14 marzo 2003, prot. n. 2814), in area attigua a quella in cui, con la gravata autorizzazione n. 1 del 26 maggio 2011, la controinteressata società Iper Volturno ha ottenuto il permesso di aprire un esercizio di commercio al dettaglio, costituito da una media struttura di vendita, presso l’immobile di proprietà della signora Fazzone Lauretta, ubicato in comune di Caiazzo, alla strada statale 158, km 96 + 600, e censito in catasto al foglio 12, particella 136/3, per una superficie complessiva pari a mq 900 (di cui mq 650 riservati al settore alimentare e mq 250 riservati al settore non alimentare). 1.2. In estrema sintesi, la società Golden Market: a) contesta la vocazione commerciale dell’immobile della sua concorrente (corrispondente, dapprima, ad un esercizio di vendita di autovetture e, poi, ad una media struttura di vendita al dettaglio di articoli alimentari e non alimentari) acquisita dal fabbricato controverso, giacché la stessa – a suo dire – sarebbe incompatibile con la destinazione agricola prevista dal p.d.f. del comune di Caiazzo per l’area di relativa ubicazione; b) assume che non rileverebbe nemmeno, sul piano urbanistico, la destinazione ad attività artigianali e commerciali riservata all’area in questione dal p.i.p. approvato con decreto sindacale del 30 settembre 1987, attesa l’anteriorità di tale strumento urbanistico attuativo rispetto alle concessioni edilizie n. 2/9 del 23 agosto 1979 e n. 1/118 del 5 febbraio 1982 e la intervenuta decadenza del piano medesimo rispetto ai successivi permessi di costruire n. 33 dell’8 giugno 2007, n. 110 del 14 dicembre 2009 e n. 58 del 2 agosto 2010; c) rappresenta che i titoli edilizi, gravati quali atti presupposti rispetto al rilascio dell’autorizzazione commerciale, avrebbero assentito un edificio adibito ad uso non già commerciale, bensì industriale; d) assume, infine, che sarebbe illegittima, per difetto dei presupposti di interesse pubblico, per inderogabilità della destinazione di zona e per mancanza del necessario parere di conformità da parte del comitato tecnico regionale, la deliberazione del consiglio comunale di Caiazzo n. 253 del 22 settembre 1980, con la quale era stata autorizzata – in vista della variante in corso d’opera, poi assentita con la concessione edilizia n. 1/118 del 5 febbraio 1982 – la deroga ai parametri urbanistici fissati dal vigente p.d.f. e che la domanda volta al rilascio del permesso di costruire n. 33 dell’8 giugno 2007 non sarebbe stata corredata di tutta la documentazione prescritta dall’art. 5 del r.e.c.. 2. Il T.a.r. per la Campania, Napoli, Sezione VIII, con la sentenza n. 4987 del 6 dicembre 2012 ha dichiarato il ricorso in parte irricevibile e in parte infondato, respingendolo in parte qua, e ha condannato la Golden Market s.r.l. al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 2000,00 oltre accessori di legge in favore di ciascuna parte costituita (comune di Caiazzo e società Iper Volturno s.r.l.). 2.1. In particolare, il T.a.r. ha accolto l’eccezione di irricevibilità per tardività dei primi sette motivi di gravame proposti avverso gli atti edilizi (impugnati quali atti presupposti rispetto all’autorizzazione commerciale n. 1 del 26 maggio 2011), ritenendo che gli stessi fossero suscettibili, già all’atto della loro adozione, di arrecare autonoma e immediata lesione al bene della vita corrispondente ai valori urbanistici tutelati dalle previsioni vigenti nella zona e di radicare, quindi, in capo al soggetto in rapporto di vicinitas con l’area da essi riguardata, un interesse concreto e attuale alla relativa impugnazione. La denunciata inosservanza della zonizzazione e dei connessi parametri urbanistici previsti dal p.d.f. del comune di Caiazzo, infatti, doveva considerarsi già perfezionata in corrispondenza del rilascio delle concessioni edilizie n. 2/9 del 23 agosto 1979 e n. 1/118 del 5 febbraio 1982, nonché dei permessi di costruire n. 33 dell’8 giugno 2007, n. 110 del 14 dicembre 2009 e n. 58 del 2 agosto 2010, sicché la società Golden Market avrebbe potuto (e dovuto) avvedersi, fin da allora, della destinazione inequivocabilmente commerciale dell’immobile (vendita di autovetture). 2.2. Nel merito, invece, il T.a.r. ha ritenuto infondato l’ottavo motivo di ricorso (l’unico direttamente rivolto all’autorizzazione commerciale n. 1 del 26 maggio 2011 e incentrato sull’assunto che l’assentita superficie di vendita sarebbe pari a mq 1.000 e, quindi, superiore a quella massima normativamente ammessa, pari a mq 900), sul rilievo che, formalmente, l’anzidetta autorizzazione è stata contenuta entro il limite previsto dalla legge (superficie complessiva pari a mq 900, di cui mq 650 riservati al settore alimentare e mq 250 riservati al settore non alimentare). 3. La società Golden Market ha appellato la sentenza deducendo i seguenti motivi: 3.1. “Error in iudicando – Error in procedendo – Carenza di istruttoria – Violazione degli artt. 3 e 64 del D.lvo n. 104/2010 – Violazione del principio generale di cui agli artt. 3, comma 1 del D.lvo n. 104/2010 e 112 c.p.c. – Carenza di istruttoria”. L’appellante critica il ragionamento logico-giuridico seguito dal primo giudice nella parte in cui ha omesso di considerare e dare il giusto rilievo alle seguenti circostanze di fatto: a) l’abusiva destinazione d’uso dell’immobile, adibito solo di fatto ad “officina ed attività annesse per concessionari d’auto”, in totale assenza di qualsivoglia provvedimento formale di destinazione d’uso commerciale dell’immobile medesimo. L’autorizzazione n. 116 del 18 giugno 1975, con cui la società Autovolturno s.p.a. ha conseguito l’abilitazione commerciale alla vendita al dettaglio di autovetture, si riferiva, infatti, al (diverso) immobile sito nell’ambito del medesimo comune ma alla via Roma, caratterizzato da un’area di vendita pari a mq 45 e da un’area espositiva di mq 20, mentre l’immobile per cui è causa è sito alla strada statale 158, Km 96+600, ha una superficie complessiva pari a mq 1000 e solo di fatto e del tutto abusivamente è stato adibito a officina meccanica e attività connesse per concessionari d’auto; b) l’illegittimità della deliberazione di consiglio comunale n. 253 del 22 settembre 1980, concernente deroga agli indici di fabbricabilità, sulla base della quale il comune aveva rilasciato, sempre illegittimamente, la concessione edilizia in deroga n. 1/118 del 5 febbraio 1982, in variante alla concessione edilizia n. 2/9 del 23 agosto 1979, riconoscendo l’indice superiore (non dovuto) dello 0,209 mq/mq in luogo di quello (inferiore) dello 0,15 previsto dall’art. 24, lettera A/4 delle NTA del programma di fabbricazione; c) l’abusiva realizzazione di alcuni locali mai sanati o condonati e l’impossibilità di ottenere l’agibilità per l’espletamento dell’attività commerciale per cui è causa. 3.2. “Error in iudicando – Error in procedendo – Carenza di istruttoria – Violazione degli artt. 3 e 64 del D.lvo n. 104/2010 – Violazione del principio generale di cui agli artt. 3, comma 1 del D.lvo n. 104/2010 e 112 c.p.c. – Illogicità”. L’appellante sostiene che l’omessa considerazione, da parte del giudice di prime cure, delle anzidette circostanze di fatto, ne ha condizionato – viziandolo – tutto il successivo ragionamento logico-giuridico. In sostanza, a parere dell’appellante, il primo giudice non si sarebbe avveduto che la società Golden Market non ha mai avuto legittimazione attiva, né attualità e concretezza di interesse a ricorrere avverso i titoli edilizi relativi all’immobile sito alla strada statale 158, Km 96+600, prima della contestatissima autorizzazione commerciale n. 1 del 26 maggio 2011, per tutta una serie di ragioni, e segnatamente: a) l’autorizzazione n. 116 del 18 giugno 1975, intestata alla società Autovolturno s.p.a., riguardava la “vendita al dettaglio di autovetture” (e non l’attività di “officina meccanica ed attività connesse per concessionari d’auto, di fatto svolta nell’immobile per cui è causa), da esercitarsi, peraltro, nel (diverso) immobile sito alla via Roma; b) la Golden Market ha iniziato a svolgere (legittimamente) attività commerciale sulla base dell’autorizzazione n. 1 del 16 agosto 2001, pacificamente successiva al rilascio delle concessioni edilizie del 1979 e del 1982, di tal ché sarebbe del tutto irragionevole pretendere un onere di impugnativa, avverso i detti atti, da parte di un soggetto che, all’epoca, nemmeno svolgeva alcuna attività commerciale, men che meno concorrente; c) l’interesse a ricorrere per la Golden Market è divenuto concreto e attuale soltanto all’atto del rilascio dell’impugnata autorizzazione alla vendita (nel settore alimentare e non), giacché lo svolgimento in precedenza, da parte della Iper Volturno, sia pure di fatto e abusivamente, di una attività commerciale non similare e non concernente lo stesso bacino di vendita (officina meccanica e vendita di accessori per autovetture), non avrebbe potuto concretamente ledere un soggetto non concorrente e, dunque, non antagonista; d) l’interesse a ricorrere per la Golden Market avverso l’impugnata autorizzazione alla vendita è divenuto concreto e attuale anche sotto altro profilo, ovvero perché per la prima volta all’immobile è stata formalmente riconosciuta (sia pure illegittimamente) una destinazione commerciale, per l’innanzi mai affermata e sempre e solo condotta abusivamente e in via di mero fatto dalla Iper Volturno; e) la Golden Market non ha mai inteso contestare, attraverso l’impugnazione dell’autorizzazione commerciale alla vendita, profili di diritto squisitamente edilizio-urbanistico pertinenti all’ordinato assetto del territorio, sicché gli atti edilizi sono stati gravati non di per sé, per far valere – cioè – vizi ad essi propri, ma esclusivamente in quanto atti presupposti per il legittimo rilascio dell’autorizzazione commerciale. 3.3. “Error in iudicando – Error in procedendo – Carenza di istruttoria – Violazione degli artt. 3 e 64 del D.lvo n. 104/2010 – Violazione del principio generale di cui agli artt. 3, comma 1 del D.lvo n. 104/2010 e 112 c.p.c. – Illogicità”. L’appellante premette che il limite di superficie per le medie strutture di vendita dettato dall’art. 2 della legge regionale n. 1/2000 per i comuni di classe A (quale è il comune di Caiazzo, che conta 5.681 abitanti) è pari a 900 mq, sicché il rilascio dell’autorizzazione commerciale rispetto ad un immobile che conta una superficie pari a 1000 mq (oltre, di fatto, all’esistenza di locali e di un soppalco privi di titolo abilitativo e mai sanati), è da considerarsi illegittimo. 4. L’odierna appellante, pertanto, ai sensi dell’art. 101 del c.p.a., ha espressamente riproposto tutti i primi sette motivi di impugnazione dichiarati irricevibili dal T.a.r. e l’istanza istruttoria già dedotta nel primo grado, concludendo per l’integrale riforma della sentenza impugnata e l’accoglimento del ricorso di primo grado. 5. Si è costituito il comune di Caiazzo chiedendo il rigetto dell’avverso appello perché infondato in fatto e in diritto. 6. Si è costituita, altresì, la società Iper Volturno srl, instando per la declaratoria di irricevibilità, inammissibilità o infondatezza, nel merito, dell’avverso appello. 7. Il Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 202 del 22 gennaio 2013 ha respinto l’istanza cautelare di sospensione dell’efficacia della sentenza di primo grado, proposta dalla parte appellante in via incidentale, sul rilievo della carenza del requisito del periculum in mora, ché anzi, in punto di fumus boni iuris, è stato osservato che “non paiono tardive ex se le doglianze in merito all’abuso edilizio commesso, atteso che pare perplessa la considerazione espressa dal Tar sulla predominanza del principio di stabilizzazione degli effetti giuridici rispetto a quello del ripristino della legalità violata”. 8. Le parti hanno insistito ulteriormente sulle rispettive tesi difensive mediante il deposito di documenti, di memorie integrative e di replica. 9. All’udienza del 21 settembre 2017 la causa è stata discussa e trattenuta dal Collegio in decisione. 10. L’appello è fondato e merita accoglimento nei limiti di cui appresso. 11. Il Collegio ritiene opportuno scrutinare congiuntamente i primi due motivi di appello giacché involgono le medesime questioni logico-giuridiche, di natura edilizio-urbanistica, sottese all’impugnazione dell’autorizzazione commerciale n. 1 del 26 maggio 2011, e poste dal primo giudice a fondamento della declaratoria di irricevibilità, per tardività, dei primi sette motivi di impugnazione. 11.1. In ordine logico, la prima questione rilevante concerne l’esatta datazione, dal punto di vista temporale, del momento in cui possono ritenersi sorte, in capo alla società Golden Market, le condizioni dell’azione consistenti nella legittimazione e nell’interesse a ricorrere. 11.2. Va premesso, in via generale, che, secondo i parametri più restrittivi enucleati da recente, condivisibile giurisprudenza, ai cui precedenti si rinvia anche a mente degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d) del c.p.a. (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 16 aprile 2013, n. 2108 e, più di recente, Consiglio di Stato, sez. V, 22 marzo 2016, n. 1182), “il mero criterio della vicinitas di un fondo o di una abitazione all’area oggetto dell’intervento urbanistico-edilizio non può ex se radicare la legittimazione al ricorso, dovendo sempre il ricorrente fornire la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, quali il deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del diritto alla salute ed all’ambiente”. Nella materia, oggi all’esame, dell’impugnazione del titolo edilizio correlato ad un’autorizzazione commerciale, questo Consiglio di Stato si è pronunciato con recenti precedenti specifici, collegando il tradizionale criterio della vicinitas alla nozione di interferenza col medesimo bacino di utenza tra operatori economici. In particolare, nella sentenza 19 novembre 2015, n. 5278, questa Sezione ha precisato il concetto dello stabile “collegamento territoriale” che deve legare il ricorrente all’area di operatività del controinteressato per poterne qualificare la posizione processuale e, conseguentemente, il diritto di azione, affinché il suo interesse processuale possa qualificarsi personale, attuale e diretto, identificando il concetto di “vicinitas” nella constatazione di una coincidenza totale o, quanto meno, parziale, del bacino di clientela, tale da poter oggettivamente determinare un’apprezzabile calo del volume d’affari. In altre coeve pronunce, inoltre, è stato ribadito, ancora più chiaramente, che “la vicinitas costituisce elemento legittimante l’impugnazione non solo del permesso di costruire, ma anche dell’autorizzazione all’apertura di un centro commerciale di cui il permesso di costruire costituisce il presupposto, da parte di soggetti operanti nel medesimo bacino commerciale, stante l’esistenza di un rapporto di presupposizione giuridica tra il rilascio del titolo edilizio e di quello per l’esercizio di un’attività commerciale; peraltro per l’impugnativa degli atti aventi ad oggetto l’esercizio del commercio, la “vicinitas” in senso spaziale deve essere trasferita nell’ambito della nozione di bacino commerciale, ossia dell’area in cui si dispiega l’influenza economica del concorrente ed è quindi idonea a incidere sulle posizioni di mercato del controinteressato; in questo settore, la rilevanza della posizione del ricorrente si rapporta all’interesse ad un regolare svolgimento della concorrenza, tale da non ledere illegittimamente la posizione di un altro operatore nel proprio settore di mercato” (Consiglio di Stato, sez. IV, 7 maggio 2015, n. 2324); e ancora: “La vicinitas costituisce elemento legittimante l’impugnazione non solo del permesso di costruire, ma anche dell’autorizzazione all’apertura di un centro commerciale di grandi dimensioni, di cui il permesso di costruire costituisce il presupposto, da parte di soggetti operanti nel medesimo bacino commerciale, stante l’esistenza di un rapporto di presupposizione giuridica tra il rilascio del titolo edilizio e di quello per l’esercizio di un’attività commerciale, atteso che l’impugnativa del titolo edilizio è dedotta unicamente al fine di perseguire strumentalmente la caducazione del titolo commerciale di cui il primo costituisce presupposto; di conseguenza il rapporto tra i due diversi provvedimenti, legati per presupposizione, consente un reale allargamento del concetto di vicinitas, dando vita ad un parallelo ampliamento del concetto di interesse al ricorso e di legittimazione ad impugnare i titoli edilizi, anche in favore di altri operatori spazialmente distanti dall’area di intervento” (Consiglio di Stato, sez. IV, 19 marzo 2015, n. 1444 e Id., 3 settembre 2014 n. 4480). 11.3. Tanto premesso, colgono pienamente nel segno le critiche, mosse dall’odierna appellante Golden Market, al ragionamento logico-giuridico seguito dal primo giudice, nella parte in cui questo, ingiustamente omettendo di vagliare determinate circostanze in punto di fatto, ha tratto la (scorretta) conclusione secondo cui sarebbero tardive (e, dunque, processualmente irricevibili) le censure esperite avverso i titoli edilizi impugnati, quali atti presupposti rispetto al rilascio dell’autorizzazione commerciale alla vendita. In particolare, in punto di fatto, non può essere trascurato che la Golden Market ha iniziato a svolgere la propria attività commerciale di vendita al dettaglio per concentrazione, nel settore alimentare e non, sulla base dell’autorizzazione n. 1 del 16 agosto 2001, mentre la società Autovolturno spa ha iniziato a svolgere l’attività di vendita al dettaglio di autovetture solo in forza dell’autorizzazione n. 116 del 18 giugno 1975. Non va, peraltro, sottaciuto, il fatto che quest’ultima autorizzazione, oltre a non contemplare, formalmente, l’esercizio dell’attività di “officina meccanica ed attività connesse per concessionari d’auto” (attività, di fatto, svolta nell’immobile per cui è causa), si riferiva – pure – ad un immobile diverso da quello per cui è causa: l’autorizzazione, infatti, era stata rilasciata in relazione all’immobile di via Roma, caratterizzato da un’area di vendita pari a mq 45 e da un’area espositiva di mq 20, mentre l’immobile per cui è causa è sito alla strada statale 158, Km 96+600 e ha una superficie di vendita complessiva pari a mq 1000. Pertanto, deve concludersi che, contrariamente a quanto ritenuto dal T.a.r., la legittimazione e l’interesse a ricorrere in capo alla Golden Market sono divenuti concreti e attuali soltanto all’atto del rilascio dell’impugnata autorizzazione alla vendita, giacché è soltanto in ragione della (sopravvenuta) interferenza della società Iper Volturno nel medesimo bacino di utenza, nel settore alimentare e non, per l’innanzi occupato dalla Golden Market, che è venuta meno la precedente “non similarità” delle attività commerciali per l’innanzi svolte dalle due società e si è, invece, effettivamente instaurato un rapporto di concorrenza e antagonismo tra i due anzidetti operatori economici nel medesimo settore commerciale. 11.3.1. Né alcun pregio possono rivestire le osservazioni, pure svolte dal giudice di prime cure, circa la natura “ambulatoriale” che verrebbe ad assumere l’interesse a ricorrere di un operatore economico (laddove quest’ultimo fosse fatto dipendere dalle scelte commerciali di un altro operatore economico) e la facile elusione del termine decadenziale di impugnazione dei titoli edilizi cui si presterebbe – strumentalmente – l’impugnazione della autorizzazione commerciale alla vendita, e ciò con grave vulnus per la stabilità del titoli edilizi. Infatti, così poste, le questioni potrebbero dare facilmente luogo ad aporie interpretative, quando invece, se correttamente impostate alla luce dei principi generali dell’ordinamento e di quelli, più particolari, vigenti nello specifico settore dell’esercizio del commercio, si rivelano del tutto infondate. L’identificazione della nascita della legittimazione e dell’interesse ad agire, in capo ad un determinato operatore economico, col momento del rilascio della autorizzazione commerciale alla vendita in capo ad altro concorrente e antagonista operatore economico, è, infatti, non la conseguenza del riconoscimento della natura ambulatoriale delle condizioni dell’azione ovvero della strumentalità, a fini elusivi, dell’azione giurisdizionale avverso il titolo autorizzativo all’esercizio del commercio, bensì il portato giuridico della costruzione, espressamente voluta dal legislatore, del rapporto tra il titolo edilizio e quello commerciale. In altri termini, è dal nesso di presupposizione giuridica tra il rilascio del titolo edilizio e di quello per l’esercizio di un’attività commerciale, che sorge per un operatore economico, in un dato momento storico, l’interesse a contrapporsi all’altrui attività commerciale. Allo stesso tempo, tale interesse non è idoneo a sostenere ex se e in astratto l’impugnativa avverso il titolo edilizio, la quale è – anzi – oggettivamente circoscritta e dedotta unicamente al fine di perseguire, strumentalmente, la caducazione del titolo commerciale di cui il primo costituisce presupposto. 11.4. Risolta in senso affermativo la questione della ricevibilità dei motivi di ricorso, va ora esaminata la questione della (pretesa) illegittimità derivata dell’autorizzazione commerciale alla vendita in dipendenza della (asserita) non conformità dell’immobile alla destinazione d’uso prevista dalla vigente disciplina urbanistica. 11.4.1. Anche in questo caso si rende opportuna una premessa generale di inquadramento dei termini del problema. 11.4.2. La fattispecie all’esame è disciplinata, a livello di normazione statale, dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (in Suppl. ordinario alla Gazz. Uff., 24 aprile, n. 95), recante la riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della l. 15 marzo 1997, n. 59; e, a livello regionale, dalla legge regionale Campania n. 1/2000, recante “Direttive regionali in materia di distribuzione commerciale – Norme di attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114”, applicabile ratione temporis essendo stata, solo successivamente, abrogata dall’art. 64, comma 1, lettera a), della Legge Regionale del 9 gennaio 2014, n. 1. 11.4.3. Il criterio ispiratore di entrambe le discipline riposa sul principio generale dell’integrazione della pianificazione territoriale e urbanistica con la programmazione commerciale. Tra i criteri di programmazione riferiti al settore commerciale, infatti, è annoverata la correlazione tra titolo edilizio e autorizzazione all’esercizio, eventualmente anche in modo contestuale. Scopo precipuo del legislatore statale e regionale, infatti, sia nel caso che i titoli vengano rilasciati contestualmente (è il caso, tipico, delle nuove costruzioni), sia in quello in cui manchi la detta contestualità (è il caso, ad esempio, degli edifici già edificati, da adibirsi successivamente a ospitare medie o grandi strutture di vendita), è quello di valutare attentamente la conformità del nuovo insediamento ai vigenti parametri urbanistici, non potendosi di certo prescindere dalle destinazioni d’uso previste dalla vigente disciplina edilizio-urbanistica, ove non modificate o integrate dal SIAD: gli insediamenti commerciali, infatti, non possono porsi in contrasto con le previsioni urbanistiche o essere localizzati in zone o edifici privi di destinazione conforme. 11.4.4. Sull’argomento si registrano numerosi precedenti specifici della giurisprudenza amministrativa, ai quali si rinvia con valore di precedenti conformi, sempre a mente degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d) del c.p.a. È costantemente ribadito, infatti, il potere – dovere delle competenti amministrazioni locali di verificare il rispetto delle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, rispetto che deve sussistere ab initio o a seguito di ottenimento di un titolo edilizio in sanatoria, anche in sede di rilascio delle autorizzazioni commerciali (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 17 luglio 2014 n. 3793, il quale testualmente afferma “Nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con la naturale conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività e/o non regolarità delle opere edilizie in questione con le prescrizioni urbanistiche”). 11.4.5. Alla luce di quanto esposto sul piano legislativo nazionale e regionale, e della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, dalla quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, va pertanto approfondita, nel merito, la questione della conformità dei titoli edilizi concernenti l’immobile per cui è causa rispetto alla destinazione d’uso prevista dal piano urbanistico vigente, giacché l’illegittimità dei detti titoli edilizi, relativi all’area su cui insiste il contestato esercizio commerciale, può essere fatta valere come vizio dell’autorizzazione commerciale rilasciata allo stesso esercizio, al fine di evitare che sull’area coinvolta dai titoli edilizi contestati possa esercitarsi l’attività concorrente. L’illegittimità dei titoli edilizi, in tal senso, non viene ad essere scrutinata di per sé e in astratto, bensì nei circoscritti limiti in cui la stessa finisce per riverberarsi sull’autorizzazione commerciale, di cui i suddetti titoli edilizi ne costituiscono gli atti presupposti. 11.4.6. La Difesa dell’odierna appellante ha rassegnato (ed espressamente riproposto nel presente grado ai sensi dell’art. 101 c.p.a.) le seguenti censure così rubricate: 1) violazione e falsa applicazione degli artt. 23 e 24 nelle n.t.a. del p.d.f. del Comune di Caiazzo; violazione degli artt. 24 ss. della l. n. 426/1971; eccesso di potere per violazione dei principi generali in tema di giusto procedimento, trasparenza, imparzialità della pubblica amministrazione; violazione della l. r. Campania n. 14/1982; violazione degli artt. 1, 2, 3 e 8 della l. n. 241/1990; sviamento; 2-4) violazione e falsa applicazione dell’art. 81 del r.e.c.; violazione degli artt. 41 quater della l. n. 1150/1942 e 3 della l. n. 1357/1955; inesistenza dei presupposti in fatto e in diritto per il rilascio del permesso di costruire in deroga; violazione dei principi generali in tema di giusto procedimento per il rilascio del permesso di costruire in deroga; eccesso di potere per sviamento; illegittimità derivata; 5) violazione dell’art. 5 del r.e.c.; violazione dei principi generali sul giusto procedimento; violazione dell’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001; carenza di istruttoria; 6) eccesso di potere per travisamento dei fatti; sviamento di potere; 7) violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990; eccesso di potere per travisamento dei fatti; sviamento; genericità. 11.4.7. Dai documenti versati agli atti del giudizio e, in particolare, dal certificato di destinazione urbanistica prot. n. 7910 del 5 luglio 2011, è provato che l’immobile per cui è causa, distinto in catasto al foglio 12, part. 136, sub 3 e realizzato in forza della concessione edilizia n. 2/9 del 23 agosto 1979 per “costruzione di officina e attività annesse per concessionari d’auto” e successiva concessione edilizia in variante n. 1/118 del 5 febbraio 1982, ricade (e ricadeva, anche all’epoca) in zona E2 (agricola semplice) del vigente programma di fabbricazione adottato in data 27 maggio 1974 con decreto n. 729 del Presidente della G.R.C. e successiva deliberazione di G.R. n. 9304 del 29 dicembre 1975. A norma degli artt. 23 e 24 delle NTA allegate al p.d.f. le uniche destinazioni d’uso consentite sono la residenza e gli impianti occorrenti per la conduzione dei fondi agricoli, secondo l’indice di fabbricabilità fondiaria pari a 0,03 mc/mq. È opportuno, inoltre, apprezzare, in punto di fatto, che la società Autovolturno era sì beneficiaria di una autorizzazione al commercio di vendita al dettaglio di autovetture (autorizzazione n. 116 del 18.6.1975), ma in tutt’altro immobile (quello alla via Roma) rispetto a quello di cui alle sopramenzionate concessioni. 11.4.8. Replicano, a questo punto, le parti appellate, che l’area in cui ricade l’immobile è stata inserita nel piano per gli insediamenti produttivi (cd. p.i.p.) ai sensi dell’art. 28 della legge 14 maggio 1981, n. 219, in forza della delibera consiliare n. 184 del 30 settembre 1981, resa esecutiva dal Co.Re.Co. di Caserta con prot. n. 15976 del 14 novembre 1981, sicché la stessa avrebbe acquisito destinazione commerciale. 11.4.9. L’assunto è privo di pregio. 11.4.10. Come correttamente osservato dall’appellante (cui non è seguita alcuna pertinente e decisiva controreplica), il p.i.p. è stato approvato solo con il decreto sindacale del 30 settembre 1987, di talché anche la concessione per l’innanzi rilasciata (quella del 1982) risulta priva della necessaria conformità urbanistica secondo la destinazione commerciale, all’epoca non ancora attuale. L’anzidetto piano, inoltre, è decaduto per mancata attuazione antro il termine del 30 settembre 1997, sicché anche i titoli edilizi successivamente rilasciati per ristrutturazione di locali commerciali e realizzazione di locali tecnici (il permesso di costruire n. 33/2007; e i permessi in variante n. 100/2009 e n. 58/2010) risultano non conformi alla vigente destinazione urbanistica (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 2 dicembre 2011, n. 6363: “Il piano per gli insediamenti produttivi (p.i.p.) previsto dall’art. 27 l. n. 865 del 1971 è uno strumento urbanistico di natura attuativa, dotato di efficacia decennale dalla data di approvazione ed avente valore di piano particolareggiato di esecuzione, la cui funzione è quella di incentivare le imprese, offrendo ad un prezzo politico le aree occorrenti per il loro impianto ed espansione: come tale, trascorsi i dieci anni, l’amministrazione non può disporre alcuna proroga dello stesso, potendo invece unicamente valutare l’opportunità di predisporre un nuovo strumento con conseguente rinnovazione della scelta pianificatoria attuativa rimasta inattuata”). 11.4.11. L’area in questione, inoltre, non sarebbe – nemmeno all’attualità interessata da alcuna pianificazione integrativa tramite S.I.A.D., giacché quest’ultimo, sia pure approvato con delibere di consiglio comunale n. 24 del 12 giugno 2001, n. 32 del 30 luglio 2001 e n. 52 del 28 dicembre 2001, in esecuzione delle previsioni di cui al decreto legislativo n. 114/1998 e alla legge regionale n. 1/2000, è decaduto poiché adottato quale strumento di variante rispetto a un p.r.g. solo adottato (delibera n. 3 del 12 ottobre 1999) ma non approvato. Il riferimento al S.I.A.D., ovviamente, nello specifico contesto per cui è causa, va apprezzato unicamente allo scopo di rinvenire una modificazione della vigente strumentazione urbanistica in senso favorevole alla controinteressata Iper Volturno (circostanza, questa, che per quanto appena detto, va decisamente respinta), e non già nel senso di ritenere l’adozione del detto strumento di pianificazione integrativa come necessaria al fine di autorizzare la licenza all’esercizio del commercio. Come già pacificamente osservato dalla giurisprudenza amministrativa, infatti, la legge regionale Campania n. 1 del 2000 non contiene alcuna preclusione circa la possibilità di rilasciare autorizzazioni commerciali per medie strutture di vendita a prescindere da quanto previsto dal S.I.A.D. e, pertanto, anche a prescindere dall’emanazione del S.I.A.D. stesso. 11.4.12. Ciò premesso e considerato, pertanto, a nulla varrebbe opporre – come invece preteso dalle parti appellate – l’asserita destinazione commerciale assunta dall’immobile in virtù del rilascio dei menzionati titoli edilizi e del decorso di un ampio lasso di tempo, giacché – secondo i principi generali costantemente ribaditi da questo Consiglio – la disciplina di ciascuna area deve trarsi unicamente dalle disposizioni degli strumenti urbanistici che specificamente la riguardano, restando irrilevanti sia l’eventuale rilascio di titoli illegittimi che l’uso di fatto svolto nell’immobile. In tal senso, nemmeno un certificato di destinazione urbanistica potrebbe in astratto attestare, in quanto atto meramente dichiarativo, la sussistenza di una destinazione in contrasto con quella documentalmente risultante dai detti strumenti (Consiglio di Stato, sez. IV, 8 febbraio 2016 n. 476). A tacer d’altro, in ogni caso, nella fattispecie all’esame, come risulta dalle produzioni documentali in atti, il comune di Caiazzo ha, anzi, rilasciato svariati certificati urbanistici in cui si dichiara pacificamente che l’immobile per cui è causa ricade in zona classificata E2 Agricola semplice. Si appalesa, pertanto, sotto questo punto di vista, del tutto erroneo (oltre che del tutto inconferente) il richiamo, operato da entrambe le parti appellate, alla sentenza n. 7447 resa da questo Consiglio di Stato, Sezione IV, in data 26 novembre 2009, sentenza in cui le parti stesse hanno (evidentemente) voluto leggere una conferma alla tesi della incontestabilità dei titoli edilizi approvati da anni e a suo tempo non impugnati. Tale sentenza, infatti, non può rivestire alcun valore di precedente rispetto al caso all’esame, giacché essa riguarda una fattispecie caratterizzata, in punto di fatto, dall’attribuzione, ad opera dello strumento urbanistico, di una classificazione di zona D3 “Attrezzature commerciali esistenti”, cui le allegate NTA applicano una destinazione d’uso ad esercizi di vicinato ed a medie strutture di vendita. In quel caso, il comune aveva, in effetti, assentito lavori edilizi su edificio già esistente e già fornito di vocazione commerciale, ubicato in area ove la corrente regolamentazione urbanistica ammetteva la possibilità di ampliare esercizi preesistenti. Entro queste coordinate, pertanto, era chiaro che la ricorrente non avrebbe potuto dolersi della destinazione commerciale, impressa al fabbricato e alla zona che ospitavano l’esercizio avversato, da atti e disposizioni approvati da anni, a suo tempo non impugnati e perciò da ritenersi incontestabili. Nel caso all’esame, invece, a difettare è proprio il requisito formale della destinazione commerciale urbanistica, sicché ben può dolersene, oggi, l’odierna ricorrente, essendo divenuto attuale il suo interesse solo a seguito dell’interferenza, nel proprio bacino di utenza, della nuova attività commerciale svolta dalla controinteressata. 11.4.13. E il discorso potrebbe (e dovrebbe), al limite, essere condotto anche sul piano dell’autotutela amministrativa, nella sussistenza degli ulteriori requisiti previsti dalla legge, giacché nessuna rilevanza giuridica può assumere il preteso mutamento della destinazione per evoluzione, ad essa contraria, della situazione fattuale impressa all’area in virtù del rilascio di titoli edilizi. Tale tesi, infatti, comporterebbe la (inaccoglibile) abrogazione tacita delle previsioni pianificatorie. Come rilevato da questo Consiglio di Stato in caso analogo “È appena il caso di ribadire, infatti, il consolidato orientamento della giurisprudenza, secondo cui la circostanza che in passato siano state perpetrate eventuali irregolarità non inficia l’attività repressiva ma, semmai, può costituire impulso per la intensificazione della attività repressiva; le previsioni di piano non possono essere disattese “de facto” perché ciò implicherebbe l’abdicazione sostanziale dall’indispensabile attività programmatoria dell’ordinato sviluppo territoriale” (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 4 aprile 2012, n. 1986). 12. Analoga favorevole sorte non incontra, invece, il terzo motivo di appello, basato sui due alternativi profili della mancanza del SIAD e del (preteso) rilascio dell’autorizzazione commerciale per una superficie di vendita (1000 mq) superiore a quella normativamente prevista (900 mq). 12.1. Quanto al primo profilo, è stato già ampiamente detto sopra al punto 11.4.11, alle cui motivazioni ci si riporta per esigenze di economia processuale, restando inteso che l’adozione del detto piano integrativo è irrilevante ai fini della legittimità del rilascio dell’autorizzazione di commercio. 12.2. In relazione, invece, al secondo aspetto, va osservato che l’autorizzazione è stata circoscritta, quanto all’ambito oggettivo di efficacia, entro il limite legalmente previsto (900 mq), sicché eventuali discrasie rispetto all’istanza presentata dalla parte o alle risultanze del certificato di prevenzione incendi, ovvero ipotetici abusi del titolo abilitativo legittimamente rilasciato, perpetrati in via di mero fatto, possono (e devono) trovare soluzione secondo gli strumenti di tutela accordati dall’ordinamento, ma non già attraverso la caducazione del titolo medesimo. 13. Conclusivamente e in sintesi, dunque, vanno accolti il primo e il secondo motivo di appello e respinto il terzo. 14. Le spese del doppio grado, in ragione della particolare complessità della vicenda procedimentale, possono essere compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti e nei sensi di cui in parte motiva (I e II motivo, respinto il III) e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie il ricorso introduttivo del giudizio e annulla gli atti impugnati. Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 settembre 2017 con l’intervento dei magistrati: Filippo Patroni Griffi, Presidente Fabio Taormina, Consigliere Oberdan Forlenza, Consigliere Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere Daniela Di Carlo, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE Daniela Di Carlo IL PRESIDENTE  Filippo Patroni Griffi

Francesco Papa

           


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