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SANTA MARIA CAPUA VETERE. Mario Brancaccio, nelle sue note di coautore cita un genere, “la Commedia dell’Arte”, e non lo fa a caso. Questa antica e mai dismessa forma realizzativa e interpretativa è alla radice di tutto quello che poi è stato il nostro modo di fare Teatro, un modo che ha connotato il teatro all’Italiana, terreno che ha dato vita avari generi che tutt’ora compongono un panorama unico al mondo.

Dai “rami” della Comoedia, discendono modi più o meno nobili, colti e popolari, che nel corso del tempo sono stati definiti come “Opera Buffa”, “Cabaret”, “Rivista” e “Avanspettacolo”, farse e commedie di genere, teatro cosiddetto “Dialettale” opere in musica che rasentano il “Musical” ma che in Italia non hanno abbandonato la parte in prosa, che fa del nostro teatro musicale un genere unico e particolarmente fruibile nella comprensione dello spettatore.

Gli stessi nostri grandi “Chansonnier” ne hanno subito l’influenza, ammantando le loro opere di contenuti e di interpretazioni sempre molto vicine al teatro, a quel recitar/cantando mai fine a se stesso, dove argomenti, satira, dissacrazione, ironia, critica, sberleffo, hanno sempre avuto importanza basilare. Senza citare i notissimi esempi del passato, la tradizione si rinnova incarnata ai nostri tempi in Federico. 

Federico Salvatore sin dai tempi delle sue prime apparizioni televisive ha stupito, divertito, incuriosito, ogni platea, con il suo saper essere poeta, musicista, attore, fustigatore di pregi e difetti dei suoi conterranei, eleggendo però questi modelli a simboli universali di comportamento, molto spesso usufruendo della Lingua Napoletana che gli è congeniale, ma solo per colorare le sue parole di  un valore aggiunto.

E’ apprezzato e compreso a qualunque latitudine, in quanto acuto indagatore di vizi e virtù che possono definirsi nazionali, anche se   il “modo” il linguaggio, lo stimolo ha sempre un’origine visceralmente Sudista, per quell’istinto innato che muove il Nostro, quello di rivendicare valori e appartenenze  indiscutibilmente nostri, spesso calpestati, vilipesi, negati dai corsi non sempre onesti della storia d’Italia.

Questo suo essere “Giullare” ma non di corte, bensì di popolo, gli permette qualunque licenza, le parole più oscene non sono mai volgari, le sue convinzioni sociopolitiche sono incontestabili, la simpatia espressa nell’esibirsi è coinvolgente, ci fa tutti  complici del suo essere “ragazzaccio” come solo lui sa essere con quell’aria da Clown stupito, amareggiato, divertito, malizioso, furbo, arguto, compreso ed a volte commosso nel suo calarsi nelle vicende sempre tragicomiche della nostra balorda Umanità.

L’idea di esaltare tutto questo, rivestendo le sue canzoni di parole e teatralità che ne esaltassero i contenuti, è stata realizzata con lieve e divertita ironia da Mario Brancaccio e da lui stesso, creando un filo rosso che leghi una selezione sia pure necessariamente limitata della sua infinita ecclettica produzione.

A me è toccato il compito di coordinare tutto questo su di un palcoscenico, quella che a volte viene pomposamente definita “regìa” è per me questa volta mettere con divertito entusiasmo,  la mia esperienza al servizio di un’idea che già da sola è spettacolo, è musica, è teatro. 

Ad ogni ascolto i brani mi rivelano qualcosa in più, le parole scorrono e si compongono da sole nell’esaltare i contenuti, una schiera di Artisti di grande levatura si sono schierati non dietro né davanti, ma al fianco del Nostro, coinvolti tutti allo stesso modo nel fare proprio questo irriverente  modo di divertire, coinvolgere, far riflettere.

Il motto araldico di Federico Salvatore potrebbe essere  “Castigat ridendo mores” frase antica tradotta letteralmente dal latino, che significa: "corregge i costumi ridendo".

Ho immaginato questa messa in scena come una “Sarabanda” si voci, luci, suoni, più vicina ad un circo fantastico piuttosto che ad una commedia con musiche, ho individuato il ritmo, l’allegria, la furiosa verve di ogni brano come uno schiaffo, un fuoco d’artificio, una pacca amichevole sulle spalle del vicino, uno sberleffo  senza soluzione di continuità.

Una scossa della quale si ha bisogno, per riflettere e comprendere, e questa sarà la cifra dello spettacolo a cui tendo, girandola di colori e sorriso a non finire, a volte divertito, a volte amaro, ma sempre intelligente come abbiamo saputo fare sino ad ora, per “tradizione” e mai come questa volta nel recupero di una cultura  che vive nel DNA dei nostri Artisti, che non smette mai di rinnovarsi,  se non addirittura di sopravanzarci a volte, sviluppata sulle tavole di un palcoscenico, in un rituale magnifico che non smetterà mai di stupirci.  

 


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