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09:27:35 CASERTA. On.le Patriciello, tra poco si vota per il rinnovo del Parlamento europeo. L’Unione Europea sembra non essere in grande forma. A prevalere saranno i partiti euroscettici?

«L’Unione Europea ha già vissuto momenti di grande difficoltà nel corso della sua storia, è nel suo Dna, ma è sempre riuscita a trovare la forza e l’unità per andare avanti. È ovvio che bisogna lavorare per dare risposte concrete ai cittadini. Dobbiamo essere bravi a recuperare quelli che sono sempre stati i valori fondanti dell’integrazione europea, trasferendoli però nella realtà dei problemi di oggi: penso alla politica nel Mediterraneo o al tema delle sanzioni alla Russia. Ancora, quale protagonismo deve avere l'Italia in Europa? Va avanzata una soluzione alternativa a quella portata avanti negli ultimi anni dai movimenti antieuropeisti. Tutto ciò va riproposto con più forza e determinazione».

 

Come arriva Forza Italia a questo importante appuntamento elettorale? Lei sarà di nuovo candidato?

«Certamente sì. Il Presidente Berlusconi ha voluto riconfermare tutti gli eurodeputati forzisti uscenti, segno che il nostro lavoro in questi anni a Bruxelles è stato apprezzato e valutato positivamente. Ciò detto, credo che la prossima campagna elettorale sarà di importanza fondamentale. Non tanto e non solo per Forza Italia, quanto per l’Europa in generale. L’Italia deve mirare ad avere un peso politico più forte a Bruxelles, se vogliamo davvero contare. E l’unico partito che può incidere è il Partito Popolare Europeo, di cui Forza Italia è espressione. Non a caso il Presidente del Parlamento è un forzista, il nostro Antonio Tajani. Votare il cosiddetto fronte sovranista alle europee significa, perciò, indebolire la posizione italiana, oltre ad essere una contraddizione in termini, un periodo ipotetico dell’irrealtà. Nelle prossime settimane, dunque, avremo l’arduo compito di fare capire tutto questo agli elettori. Dovremmo parlare sì di sovranismo, ma di sovranismo europeo, perché non c'è nulla di più identitario della nostra storia comune».

Il nuovo raggruppamento sovranista lanciato in questi ultimi giorni le sembra una mossa in grado di cambiare i destini e gli equilibri dell’Ue?

«Vede, l’Europa sta attraversando un periodo storico particolare, di grandi cambiamenti: l’uscita della Gran Bretagna, l’enorme flusso migratorio, la minaccia terroristica, il neo-protezionismo commerciale della Presidenza Trump, l’ascesa mondiale della Cina, le nuove norme in tema di tutela ambientale. C’è qualcuno che pensa che l’Italia possa risolvere sfide così globali in solitudine? È fin troppo chiaro che problemi comuni necessitano di risposte e azioni comuni. È necessario avere, però, idee chiare e una visione strategica degli obiettivi da raggiungere. È inutile sbattere i pugni sul tavolo a Bruxelles. L’Europa ha bisogno di ben altro: di grandi sogni, di un progetto riformatore che segni la vittoria della politica e della democrazia su tecnocrati e burocrati. I sovranisti non se ne sono accorti, ma siamo già al lavoro, è un cambiamento che abbiamo già avviato».

Parliamo del Mezzogiorno. Quali sono le misure che sta attuando e deve attuare l'Europa per aiutare il Sud Italia?

«L’Unione Europea è molto attiva da questo punto di vista. Bisogna dirlo in maniera chiara, al contrario di ciò che dice una certa propaganda. Gli sforzi messi in atto per sostenere lo sviluppo delle regioni più povere, attraverso la politica di coesione, sono notevoli. La prossima programmazione 2021-2027, assegna all’Italia e alle Regioni del sud circa 1,5 miliardi di euro destinati ai piccoli Comuni e alle aree interne. Il problema è che tali sforzi ottengono risultati se supportati a dovere dai Governi nazionali. E questo non sempre è avvenuto, per quanto riguarda il Sud. Le cito un dato su tutti: su 691 euro spesi per ogni cittadino meridionale, solo 239 arrivano da Roma, il resto sono soldi Ue. Poco, troppo poco».

Intanto il divario tra Nord e Sud Italia si allarga invece di diminuire.

«Non c’è da meravigliarsi, purtroppo. Quello che succede al Sud non dipende dalla storia dell’Ottocento o per colpa della sfortuna, ma è frutto di scelte politiche ben precise. Le faccio un esempio: la spesa pubblica corrente, tra il 2008 e il 2017, è scesa del 7% al Sud mentre nel resto del Paese è rimasta invariata. La conseguenza è stata quella di avere meno servizi, tanto per le imprese quanto per i cittadini. Il sistema universitario del Sud ha subito pesanti politiche di definanziamento, per non parlare dell’offerta di traporto pubblico: a Milano dal 2008 al 2015 è cresciuta del 13%, a Roma è scesa del 21%, a Napoli addirittura del 36%. Tutto questo non avviene per sfortuna o per colpa della storia, ma per scelte politiche».

C’è poi il tema della maggiore autonomia richiesta da alcune Regioni del nord. Crede sia un rischio o un’opportunità?

«Il problema non è l’autonomia in sé, ma il modo in cui realizzarla. Il rischio è di spaccare il Paese in due, bisogna dirlo in maniera chiara. Se passa la linea che le Regioni più ricche potranno trattenere più soldi per offrire servizi migliori ai propri residenti, il risultato sarà di avere cittadini di serie A e cittadini di serie B. Serve ripartire dalla legge delega 42, sul federalismo fiscale, voluta dal governo Berlusconi, al cui interno è previsto un sistema di perequazione che attualmente manca. Una cosa è certa: qualsiasi tipo di riforma non può non tener conto dell’obiettivo principale, che rimane quello di accorciare il divario tra il nord e il sud del Paese».

Si parla da sempre di un rilancio dell'industria e del turismo. Questo vale soprattutto per il territorio di Caserta e per la Campania in generale. Ma in che modo?

«Caserta ha un patrimonio storico e artistico di rara bellezza, non lo scopriamo certamente oggi. Lo stesso dicasi per la Campania. Puntare sul turismo e sul rilancio del settore produttivo è necessario come respirare. Tuttavia credo sia difficile rilanciare industria e turismo senza parallelamente avviare un grande piano infrastrutturale per il Sud. Mentre il dibattito degli ultimi mesi è incentrato sul fare o no il Tav in Piemonte, a Matera, capitale europea della cultura 2019, aspettano ancora che si costruisca una normale stazione ferroviaria. In un mondo sempre più globalizzato e interconnesso è impensabile e assurdo che l’alta velocità escluda gran parte del Mezzogiorno».

 

Come sarebbe possibile attrarre nuovi investimenti sul territorio?

«Il sud ha bisogno prima di tutto di investimenti pubblici. Non a pioggia, ma mirati per ridurre il gap infrastrutturale e di competitività con il resto del Paese. Per fare ciò occorre individuare dei settori su cui investire e puntare. Serve una politica industriale di medio e lungo periodo in modo da poter creare buona occupazione, creare delle sinergie e dei partenariati con le università, gli enti di ricerca del territorio, i poli d’eccellenza.

Certamente servono anche investimenti extraeuropei, ma anche qui ritengo siano stati commessi errori strategici importanti. L’accordo per la nuova via della seta sottoscritto con il Governo di Pechino, per esempio, prevede l’arrivo delle merci cinesi soltanto nei porti di Genova e Trieste, escludendo clamorosamente tutti i porti delle città del sud, a cominciare da quello di Gioia Tauro, il più grande porto hub del Paese, tra i più importanti dell’Europa e del mondo per le merci».

 

 


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