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«La verità sull’omicidio di mio fratello non verrà mai fuori, a meno che non sarà qualche collaboratore di giustizia a dirla, perché i Casalesi erano forti e saranno forti chissà ancora per quanto tempo», dichiara Rosa Amato nella videointervista esclusiva a NanoPress.it. Per questo, dopo 17 anni da quell’omicidio, la collaboratrice di giustizia fa un appello per chiedere giustizia per suo fratello.

Carlo Amato è stato ucciso, ventunenne, il 20 marzo del 1999, al “Disco club” di Santa Maria Capua Vetere, dove era in corso la festa del liceo scientifico “E. Amaldi”. «Una ragazza si avvicinò a mio fratello e gli chiese aiuto perché veniva importunata. Mio fratello più volte sollecitò questi ragazzi di finirla e poi, dato che Carlo faceva karate, ha picchiato uno di questi».

«Successivamente - spiega Rosa Amato a NanoPress.it - qualcuno ha raccontato che sono stati chiamati degli altri ragazzi, che probabilmente erano guardaspalle del figlio di Sandokan (il noto boss Francesco Schiavone, NdR), che hanno rinchiuso mio fratello nello sgabuzzino e lo hanno ammazzato». «A quella festa - aggiunge la collaboratrice di giustizia - partecipava, infatti, anche il più piccolo dei figli di Sandokan, che all’epoca faceva proprio quel liceo scientifico».

A oggi, l’omicidio di Carlo Amato non ha ancora un colpevole. «Vorrei che si pentisse, vorrei che un giorno mi dicessero: quello è il volto di chi ha ammazzato Carlo».

In realtà, a un certo punto, un presunto colpevole è venuto fuori. «Venne fuori l’identikit di Michele Della Gatta, ma la Polizia non ebbe neanche il tempo di andare a prenderlo che venne assassinato anche lui». Forse perché avrebbe potuto rivelare i nomi dei suoi complici o dei veri assassini di Carlo Amato?

«Inizialmente mio padre Salvatore ha cercato di aiutare la Magistratura, facendo parlare gli amici che sicuramente erano stati testimoni oculari» di quello che era successo in quella discoteca il 20 marzo del 1999. «Ma erano tutti nel panico e l’unica cosa che dicevano era: adesso i Casalesi ammazzano anche noi». Poi «si è avvicinato al clan dei Belforte, perché voleva avvicinarsi ai grandi boss per sapere, tramite loro, chi fosse l’assassino di Carlo». Inutilmente. “Dato che la sua unica ragione di vita era diventata quella di fare un danno ai Casalesi, continua Rosa Amato, ha iniziato a creare un suo clan e installare slot machine nei bar, che all’epoca erano una delle attività che portavano soldi ai Casalesi». Sodalizio criminale, quello degli Amato, che però è durato ben poco, grazie alle denunce dei commercianti. «È presumibile che siano stati minacciati dai Casalesi, che così si toglievano mio padre da davanti», sostiene Rosa.

(FONTE: NanoPress.it)

Link all’articolo e alla videointervista:

http://www.nanopress.it/cronaca/2016/10/11/rosa-amato-lancia-un-appello-a-nanopress-it-voglio-sapere-chi-ha-ucciso-mio-fratello/149401/


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