12:48:00 Nella mattinata odierna, i militari del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta e della Compagnia dei Carabinieri di Santa Maria Capua Vetere, unitamente al personale di Polizia Giudiziaria del Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria, hanno eseguito n. 52 ordinanze applicative di misure cautelari personali nei confronti di altrettante persone in servizio presso diversi uffici del Dipartimento dell'amministrazione Penitenziaria della Campania, principalmente presso la Casa Circondariale "Francesco Uccella" di Santa Maria Capua Vetere.

I Pubblici Ufficiali sono gravemente indiziati - a seconda delle loro diverse rispettive posizioni e partecipazioni soggettive, a seguire meglio specificate - dei delitti di concorso in molteplici torture pluriaggravate ai danni di numerosi detenuti, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, falso in atto pubblico (anche per induzione) aggravato, calunnia, favoreggiamento personale, frode processuale e depistaggio.

In particolare, ferma restando la presunzione di innocenza degli indagati fino ad una sentenza irrevocabile di condanna, sono state disposte ed eseguite, in data odierna:

n. 8 misure cautelari applicative della custodia in carcere nei riguardi di un Ispettore Coordinatore del Reparto Nilo e n. 7 assistenti/agenti della polizia penitenziaria, tutti in servizio presso la casa circondariale di S.M.C.Y.;

n. 18 misure cautelari applicative degli arresti domiciliari nei confronti del Comandante del Nucleo Operativo Traduzioni e Piantonamenti del Centro Penitenziario di Napoli Secondigliano/Comandante del "Gruppo di Supporto agli interventi", del Comandante Dirigente pro tempore della Polizia Penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere, della Commissaria Capo Responsabile del Reparto Nilo del medesimo istituto, di un sostituto commissario, di tre ispettori Coordinatori Sorveglianza Generale presso l'istituto e di n. Il assistenti/agenti della polizia penitenziaria, sempre in servizio presso la Casa Circondariale di S.M.C.V.;

n. 3 misure cautelari coercitive dell'obbligo di dimora nel Comune di residenza nei riguardi di tre ispettori della polizia penitenziaria, tutti in servizio presso la casa circondariale di S.M.C.V.;

n. 23 misure cautelari interdittive della sospensione dall'esercizio del pubblico ufficio rispettivamente rivestito, per un periodo diversificato, tra i 5 ai 9 mesi, nei confronti della comandante del Nucleo Investigativo Centrale della polizia penitenziaria, Nucleo Regionale di Napoli, del Provveditore Regionale per la Campania, Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria nonché n. 21 + 1 Assistenti/Agenti della Polizia Penitenziaria, per la quasi totalità in servizio presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere.

Le indagini erano originate dagli eventi del 6 aprile 2020, successivi a delle manifestazioni di protesta di alcuni detenuti ristretti presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere, avvenute il 9 marzo ed il 5 aprile 2020, episodi che rappresentano l'antecedente rilevante alle violenze operate il successivo 6 aprile.

In particolare il 9 marzo 2020, presso l'Istituto carcerario sammaritano, un gruppo di circa 160 detenuti del Reparto "Tevere" - diverso da quello ove poi si consumeranno le violenze del 6 aprile -dopo aver fruito dell'orario di passeggio, rifiutava di far rientro nel Reparto, protestando per la restrizione dei colloqui personali imposta dalle misure di contenimento del contagio COVID 19, senza che peraltro si verificassero tangibili danni a strutture o forme di violenza, in assenza di denunce sul punto.

Il 5 aprile 2020, seguiva poi una ulteriore protesta, operata da un numero imprecisato di detenuti del Reparto Nilo ed attuata mediante un barricamento delle persone ivi ristrette, motivata dalle preoccupazioni insorte alla notizia del pericolo di contagio conseguente alla positività di un detenuto al virus COVID-19.

L'iniziativa rientrava nella tarda serata anche mediante l'opera di mediazione e persuasione attuata dal personale di Polizia Penitenziaria del carcere.

All'esito della seconda protesta, nella giornata del 6 aprile 2020, veniva organizzata una perquisizione straordinaria, generalizzata, nei confronti della quasi totalità dei detenuti ristretti nel Reparto Nilo del carcere di Santa Maria Capua Vetere, intervento operato da circa n.283 unità, costituita sia da personale appartenente alla Casa Circondariale di S. Maria Capua Vetere, sia da personale facente parte del "Gruppo di Supporto agli interventi", Gruppo istituito alle dipendenze del Provveditore Regionale per la Campania.

La "perquisizione" veniva attuata nei confronti di circa n. 292 persone recluse presso la Casa Circondariale di S. Maria Capua Vetere, detenuti allocati nel Reparto Nilo.

All'esito della successiva acquisizione delle immagini tratte dall'impianto di video-sorveglianza ritraenti alcune fasi del relativo svolgimento - prova documentale confermata da numerose audizioni delle persone detenute - era conseguentemente contestata l'arbitrarietà delle perquisizioni, disposte oralmente, emergendo il reale scopo dimostrativo, preventivo e satisfattivo, finalizzato a recuperare il controllo del carcere e appagare presunte aspettative del personale di Polizia Penitenziaria (dalle chat tratte dai dispositivi smartphone, poi sequestrati, emergeva la reale causale, ossia dare il segnale minimo per riprendersi l'istituto e motivare il personale dando un segnale forte) , essendosi conseguentemente utilizzato un atto di perquisizione.

La perquisizione risultava, di fatto, eseguita senza alcuna intenzione di ricercare strumenti atti all'offesa ovvero altri oggetti non detenibili, ma, per la quasi totalità dei casi, le immagini della video sorveglianza rendevano un realtà caratterizzata dalla consumazione massificata di condotte violente,  degradanti ed inumane, contrarie alla dignità ed al pudore delle persone recluse.

Le indagini sulla dinamica del 6 aprile e sulle violenze occorse erano originate da un esposto del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Campania, datato 8 aprile 2020, nel quale erano segnalati presunti maltrattamenti operati in danno di detenuti da parte di personale della Polizia Penitenziaria, informazioni tratte dalle registrazioni di conversazioni telefoniche avvenute tra detenuti ristretti - non identificabili - ed i propri familiari, registrazioni che erano state pubblicate sul social network Facebook.

A ciò faceva seguito, in data 9 aprile 2020, una manifestazione di protesta attuata all'ingresso della struttura carceraria di Santa Maria Capua Vetere da parte dei familiari di alcuni detenuti ristretti nel reparto "Nilo", durante la quale gli stessi lamentavano che i propri familiari erano stati oggetto di percosse ed alcuni di essi avevano riportato anche delle lesioni.

Quanto denunciato trovava un successivo ulteriore riscontro nella visita ispettiva, operata dal Magistrato di Sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, nella serata del 09.04.2020, durante la quale alcuni dei detenuti allocati nel Reparto di isolamento Danubio - provenienti dal Reparto Nilo ed ivi trasferiti durante la sera del 6 aprile - riferivano di violenze patite, detenuti peraltro ancora recanti sul corpo i segni delle lesioni subìte ed ivi reclusi in condizioni degradanti.

Emergeva, infatti, che alcuni detenuti ivi ristretti non avevano ricevuto biancheria da bagno,  dotazione da bagno, biancheria da letto, lenzuola e cuscini, non erano stati visitati e comunque prescritta alcuna terapia - benché evidentemente presentassero ecchimosi e contusioni evidenti - e gli fosse inoltre impedito ogni colloquio telefonico con i familiari, ragione per cui questi ultimi erano all'oscuro dello stato di salute dei loro cari.

All'esito delle informazioni e della denuncia presentata a questa Procura della Repubblica, in data 10 aprile 2020, questo Ufficio delegava i Carabinieri della Compagnia di S.M.C.v. ad accedere presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere per estrapolare le registrazioni video disponibili, utili ad accertare la dinamica degli eventi del 5 aprile e, soprattutto, del 6 aprile 2020, così da appurare le modalità di svolgimento della perquisizione straordinaria.

Nonostante un tentativo di ritardare o impedire l'acquisizione delle immagini, l’11 aprile 2020 l'intero impianto di video-sorveglianza veniva sottoposto a sequestro; l'esito dell' estrapolazione delle immagini e la successiva visione - operata sia dai Carabinieri che personalmente dai Magistrati di questo Ufficio - risultava fondamentale alle indagini: era possibile accettare, in modo inconfutabile, la dinamica violenta, degradante ed inumana che aveva caratterizzato l'azione del personale impiegato nelle attività, persone difficilmente riconoscibili perché munite di DPI ed anche, quanto a numerosissimi agenti, di caschi antisommossa, unitamente a manganelli in dotazione - illegalmente portati seco - ed anche di un bastone.

In particolare emergeva che gli sfollagenti erano stati utilizzati sistematicamente per percuotere un numero considerevole di detenuti, colpi inferti anche con violenza, in varie parti del corpo.

Dalla visione dei filmati utili (due degli impianti di video-registrazione erano peraltro inefficienti od oscurati) emergevano chiaramente le violenze esperite, rivolte alla quasi totalità dei detenuti del Reparto Nilo.

Tutti i detenuti del Reparto Nilo, con esclusione soltanto di una Sezione, erano stati infatti portati dalle loro celle alla sala ricreativa; taluni venivano convogliati nella sala della socialità, altri nelle aree cC.dd. del passeggio.

Era in modo solare che il personale di Polizia Penitenziaria aveva formato un "corridoio umano" al cui interno erano costretti a transitare indistintamente tutti i detenuti dei singoli reparti, ai quali venivano inflitti un numero impressionante di calci, pugni, schiaffi alla nuca e violenti colpi di manganello, che le vittime non riuscivano in alcun modo ad evitare, sia per il gran numero di agenti presenti, che per gli spazi angusti dei corridoio e degli altri locali in cui le violenze venivano praticate.

Alle violenze si sono sovente sovrapposte pratiche volutamente umilianti. Così, le medesime immagini riguardanti le sale della socialità dei vari reparti, ove sono stati raggruppati gran parte dei detenuti perquisiti, evidenziavano che gli agenti sovente costringevano i detenuti ad un prolungato inginocchiamento, sotto i loro ripetuti colpi, sferrati con il manganello o con calci, pugni e schiaffi. In alcuni casi, poi, le plurime percosse inflitte ai detenuti si sono trasformate in prolungati pestaggi, durante i quali i detenuti sono stati accerchiati e colpiti da un numero esorbitante di agenti, anche quando si trovavano inermi al suolo.

Paradigmatico, tra gli innumerevoli casi, era il trattamento subito da un detenuto, costretto a percorrere la sala della socialità trascinandosi in ginocchio, per essere malmenato con calci pugni e colpi di manganello; straziante era poi, tra tante, la scena in cui il medesimo detenuto, in ginocchio, cercava di proteggere il capo dalle percosse, venendo volutamente colpito da un agente con il manganello alle nocche delle dita.

L'elevato grado di sofferenza fisica patito dai detenuti picchiati era immediatamente percettibile dalla visione dei filmati del circuito di video sorveglianza, emergendo in maniera tragicamente evidente che gli agenti di Polizia Penitenziaria infliggevano alle vittime colpi, volutamente violenti, imprimendo notevole forza sia quando li colpivano con schiaffi, pugni e calci, sia quando utilizzavano il manganello.

Sulla base, poi, delle consulenze medico-legali disposte dal P.M. su 15 persone recluse - a distanza di circa 10 giorni dall'evento - si evidenziavano ancora i segni, assolutamente visibili, delle percosse subite dalle vittime, ecchimosi violacee su varie parti del corpo, a dimostrazione dell'estrema violenza delle percosse inflitte ai detenuti, la cui acuta sofferenza patita non era dunque minimamente dubitabile.

Attraverso poi gli esiti delle consulenze cui erano sottoposti numerosi detenuti era accertato il loro trauma psichico, evincibile dal narrato delle vittime e dalle condizioni di estrema prostrazione psicologica e di vero e proprio terrore nei riguardi dei loro carcerieri, elemento quest'ultimo attestato dalla estrema ritrosia manifestata nella proposizione di denunce o querele, di fatto presentate solo da una sparuta minoranza delle vittime.

L'estrema brutalità delle aggressioni subìte, il tipo di umiliazioni loro imposte dagli agenti di Polizia Penitenziaria, le reazioni emotive manifestatesi nel corso della perquisizione stessa (molti detenuti a seguito delle percosse hanno cominciato a piangere ed uno di essi è addirittura svenuto), erano peraltro tutti elementi che rendevano chiara la sussistenza di un misurabile trauma psichico nella vittime.

Le consulenze tecniche disposte dal P.M. rivelavano che le persone offese, pur a distanza di diversi giorni dai fatti, avevano continuato a manifestare disturbi post-traumatici di varia intensità, tutti dipendenti dalle aggressioni subite in occasione della perquisizione straordinaria.

Emergeva poi, da successive acquisizioni delle comunicazioni rilevate dai dispositivi Smartphone sequestrati (coerenti con le rivelazioni rese da alcuni detenuti), che fosse stato praticato l'obbligo della rasatura di barba e dei capelli di numerosi detenuti.

Tutti i detenuti, con rare eccezioni, venivano dunque sottoposti a violenze ed indegne misure di rigore, degradanti ed inumane, prolungatesi per circa quattro ore nel pomeriggio del 6 aprile 2020.

A seguito delle numerose audizioni di detenuti coinvolti - venivano escussi oltre 70 detenuti - emergevano anche ulteriori dettagli delle violenze e torture subìte ed era possibile identificare numerose vittime ed autori della dinamica lesiva, tra la molteplicità degli Agenti impegnati nell'azione, chiaramente attuata come punitiva e dimostrativa.

Atteso che le Unità provenienti dagli altri carceri - per lo più sconosciute ai detenuti di Santa Maria Capua Vetere - erano quasi tutte munite di caschi e dispositivo di protezione individuale (significativamente emergeva, sullo smartphone poi sequestrato ad uno degli indagati, la considerazione, integrata da emoticon espressivo, "non sempre il mefìsto serve ai banditi per fortuna, era possibile identificare esclusivamente alcune delle Unità in servizio presso la Casa Circondariale di S. Maria Capua Vetere nonché alcuni funzionari della Polizia Penitenziaria, aventi ruoli direttivi.

A seguito delle dichiarazioni rese dalle vittime ed intercettazioni operate, per la necessità di identificare ulteriori agenti immortalati nelle immagini e ricostruire le vicende criminali, si procedeva a perquisizioni ed al sequestro degli apparecchi smartphone in uso alle persone individuate come coinvolte – a vario titolo e secondo gli specifici rispettivi ruoli - nell'azione criminale e lesiva e nelle torture e maltrattamenti patite dai detenuti, principalmente - ma non esclusivamente - nel pomeriggio del 6 aprile 2020.

Il sequestro veniva operato, contestualmente alle perquisizioni svolte nel carcere, in data 11/6/2020.

Durante le operazioni numerosi Agenti manifestavano preoccupazione, assembrandosi presso l'ingresso del carcere, di fatto ostacolando il regolare svolgimento delle operazioni; ciò rendeva necessaria una lunga e laboriosa opera di persuasione da parte dei Magistrati e Carabinieri.

Ciò che emergeva dal sequestro degli smartphone, in particolare quanto alle comunicazioni intercorse tra gli Agenti di Polizia Penitenziari a, loro dirigenti e soggetti terzi, faceva ulteriore luce sugli eventi oggetto di indagini, sia quale autonoma prova, sia quale fondamentale riscontro delle dichiarazioni delle vittime, quanto alla dinamica che aveva originato la perquisizione del 6 aprile ed alle modalità di partecipazione alle violenze consumate in tale giornata.

Proprio dai sequestri degli smartphone era poi possibile accertare anche ulteriori delitti, individuati attraverso le chat e comunicazioni - in particolare falsi ideologici, depistaggi, azione di favoreggiamento, anche realizzate mediante la rivelazione di atti segreti, dinamica diretta ad ostacolare le indagini, tentare di occultare i reati e conseguirne l'impunità