20:02:46 CAPODRISE. Restituire al patrimonio artistico e culturale di Capodrise e della provincia di Caserta la cappella di Sant’Antonio Abate: è questa la sfida lanciata dall’associazione Horus guidata dalla presidente Luisa Palazzo.

E’ proprio da una mostra che ha visto come curatrice la presidente Palazzo che è nato il sogno di restaurare la Cappella.

Tutto è cominciato nel 2018 con la mostra Divina Bellezza che ha fatto da apripista a tante iniziative che hanno portato la Cappella anche ad essere inserita tra i luoghi del cuore Fai che si pone come obiettivo preservare le bellezze della nostra penisola.

Attualmente la Cappella versa in condizioni strutturali deficitari, gli affreschi hanno perso i loro colori e c’è bisogno di interventi anche di natura strutturale.

L’associazione Horus, per dare forza al progetto di restauro ha promosso anche una petizione on line per riuscire a recuperare una delle tante bellezze dimenticate che sono presenti sul nostro territorio.

Clicca qui per firmare la petizione.

Ma perché è così importante la Cappella, qual è il suo valore storico artistico?

Ecco una scheda tecnica realizzata dall’associazione Horus utile a capire l’importanza del monumento:

L’architettura è tardo gotica, come si evince dalla copertura a volta e dalle piccole finestre strombate. Al centro del piccolo scrigno, una lapide con le effigie dei De Filippo, nel 1482, risultava già di proprietà della famiglia. Nel 1656, il paese, fu colpito dalla peste, molte persone furono sepolte nelle chiese campestri, il parroco De Filippo, vide sepoltura nella piccola chiesetta, ius patronato della sua famiglia.

Poi utilizzata come riunione degli eletti della università del feudo di Acerra, di cui Capodrise faceva parte parte. Nel 1955, venne definita oratorio pubblico. L’ uso era limitato alla festa del 17 gennaio, in occasione del santo patrono. Il terremoto dell’ 80 fu ulteriore causa di degrado strutturale. Solo dopo questo infausto episodio naturale, 80/84, si riuscì a provvedere per un mirato progetto di restauro,sia architettonico che dei dipinti.

Al restauro del manufatto, iniziato nel 1990, provvidero gli esperti : A. Benvenuto di Caserta, per le architetture e Giuseppe Maietta di Marcianise che intervenne sugli affreschi. Per la committenza e la fattura, i dipinti, sono databili ad un periodo che può comprendersi tra i secoli XIV e l’inizio del XVI .

Ce lo suggeriscono il ductus pittorico ed i colori dei tanti maestri frescanti, nonché la sovrapposizione di strati diversi “d’intonaco dipinto e da ultimo, le date presenti sulle immagini, le simbologie sottese ed i riferimenti artistici e tecniche d’esecuzione. Gli affreschi, pertanto, fanno parte di un ciclo pittorico nient’affatto omogeneo né unitario, sia sotto il profilo temporale che sotto quello della committenza. Essi, infatti, riproducono temi e soggetti cristiani completamente diversi tra loro, ovvero santi vari e momenti religiosi e/o scene tutte senza una logica unitaria .

Nella calotta absidale,l’affresco, frontale e maggiore, sono rappresentati, la Madonna in trono con il Figlio sulle ginocchia, tra i santi Giovanni Evangelista, a destra, e un barbuto sant’Antonio abate, a sinistra, mentre ai loro piedi, e non a caso, si notano le figure dei devoti committenti e una dicitura reci tante della volontà manifestata per la fattura dell’opera e della loro devozione. A lato sinistro dell’ “arcone del catino”, sta frontalmente dipinta, una Madon- na delle Grazie, seduta su di un ricco stallo, sotto la cui figura è presente la data 1512 ed il nome De Filippo.

Trattasi di un bella ed elegante Madonna con bambino, ammantata e con dei fiorellini, realizzati alla svelta, sulla veste. Di sapore squisitamente 400centesca, la Vergine verosimilmente sembra apparentarsi col san Giorgio di cui si dirà appresso. A lato destro dello stesso arco- ne, sempre frontalmente, si nota la faccia e l’aureola di un Sant’Antonio Abate, ma l’intera figura (saio e mantello) è andata praticamente perduta per una vasta caduta d’intonaco dipinto. Tra gli affreschi è notevole, sulla parete destra, anche un San Giorgio che uccide il drago.

Il santo, nelle vesti di soldato e fiero combattente, è seduto su di un cavallo bianco e mostra una splendida armatura di colore grigio. La presenza di questa figura di santo nella nostra area culturale di Terra di Lavoro, riesce davvero foriera di non pochi interrogativi e dunque, appare significativamente interessante.

Infatti, essa è senz’ altro da ricollegare allo stile cortese dell’ inizio del Quattrocento, nel regno degli angioini, dove le influenze nordiche sono filtrate dalla cultura napoletana. Sicché la sua raffigurazione, ha qui ha un valore di simbolo di un “mondo raffinato cui, purtroppo, spesso corrispondeva un esteso disordine sociale nonché una politica miope ed a lungo permeata solo da intrighi di corte che, come risulta, caratterizzò quella temperie storica”.

E, in definitiva, in questo tipo di raffigurazione, il ricco committente vuol manifestare il suo stato di nobiltà ed esibisce, perciò, l’appartenenza ad una classe privilegiata.