12:24:37 Il tema del destino e della prospettiva del Mezzogiorno, in ragione sia della perniciosa iniziativa di alcune Regioni del Centro-Nord sul regionalismo differenziato sia delle politiche di questo governo, sembra essere ritornato al centro di una riflessione politica preoccupata per le prospettive della tenuta e della coesione sociale, economica e politica dell’intero Paese. Lo Svimez in modo particolare - che già aveva rimarcato e documentato in questi anni sulle possibili conseguenze delle politiche inadeguate, quando non addirittura assenti in relazione al Sud - avverte che il regionalismo differenziato non comprometterebbe solo l’eguaglianza tra i cittadini, ma la stessa capacità dello Stato di tutelare gli interessi dell’intera collettività nazionale.

Come non dare ragione al sindaco di Milano nella sua denuncia di tutti i rischi connessi a questo processo che, il 15 febbraio, con l’eventuale ratifica parlamentare, nel silenzio dei più, aprirebbe una stagione assolutamente devastante per tutti gli italiani. Una denuncia che dovrebbe essere raccolta e fatta propria, questo il nostro appello, dai presidenti di regione e dai sindaci affinché l’allarme si sollevi in tutto il Paese. Con l’auspicio che a farlo siano, in primo luogo, i rappresentati delle Istituzioni della Campania, il Presidente della Regione e l’insieme dei Sindaci a partire dai Comuni capoluogo, con alla testa Napoli.

L’avvio del regionalismo a geometria variabile andrebbe contrastato con maggior forza e veemenza, poiché sottende una secessione strisciante e penalizzante per l’intero Paese. È un tema che deve vederci protagonisti nel dibattito e propositivi nel delineare il percorso per un serio cambiamento. Non dobbiamo nasconderci che la Campania cosi com’è adesso non ci piace e la sinistra, le forze progressiste, quelle che sono scese in campo per rivendicare una diversa qualità delle vita nelle nostre città, quelle ambientaliste e contro la camorra devono incontrarsi e misurarsi. Il Partito democratico e il Presidente De Luca hanno sulle loro spalle la responsabilità di produrre cambiamenti e una svolta profonda nel governo della Regione. Ricordiamo che non si batte la destra rincorrendola sul terreno della chiusura dei porti, che la Campania e Napoli devono essere all'avanguardia di un progetto di integrazione e di convivenza; che le migrazioni sono un dato strutturale; che il Decreto legge sicurezza risponde a una logica regressiva ed emergenziale e, soprattutto che la Campania e Napoli devono essere all'avanguardia di un progetto di integrazione e di convivenza. Bene ha fatto il consigliere Todisco a ricordarlo in una sua recente lettera.

Nel contempo, si stanno levando voci importanti, dal mondo della cultura e dalle forze sociali, per manifestare dissenso verso quella che è stata efficacemente definita “la secessione dei ricchi”. La stessa iniziativa da noi promossa il primo febbraio a Napoli, anticipata dall’importante ed efficace mozione parlamentare sul Mezzogiorno meritoriamente promossa dagli onorevoli Conte e Rostan, ha rappresentato un momento utile per approfondire una questione che una forza che si dica di sinistra deve sempre porre come centrale. Sarebbe infatti sbagliato che si valutasse quanto sta avvenendo come un ciclico e stanco dibattito sul Mezzogiorno, magari improduttivo di effetti e di conseguenze. Al contrario, il dibattito andrebbe inserito nella più ampia discussione circa gli effetti politici che innescano chiusure nazionali, paure per il futuro, rancore e odio sociale interpretati dai movimenti e partiti di destra. La novità rispetto al recente passato è non solo il consenso sociale che le forze più regressive stanno riscontrando, ma anche la diffusione - in Italia e all’estero - di governi che interpretano queste linee di tendenze, esaltando chiusure, neo-nazionalismi, aggressione nei confronti dei deboli e della comunità internazionale. Peraltro, proprio i prossimi appuntamenti elettorali - elezioni europee, amministrative e, a seguire, quelle regionali - saranno decisivi per verificare se siamo ancora in presenza di tendenze espansive di questi processi e se, addirittura, nel Mezzogiorno la Lega di Salvini soppianterà un sempre più malconcio e confuso M5S.

Si sono abbassate le barriere che facevano da argine, tanto che oggi tutto sembra possibile e la stessa funzione delle forze progressiste nel mondo, almeno nel breve periodo, potrebbe essere destinata a una crescente marginalità. La sinistra - che sembra smarrita nell’incapacità di leggere il presente e ancora non conscia di aver proposto spesso visioni e ricette sbagliate o quanto meno discutibili — deve affrontare la sfida di reinventarsi, mentre è in atto, sotto il segno della crisi e di fallimenti, un processo di cambiamento storico delle società capitaliste. La questione cruciale che si pone è quali siano le modalità e strumenti a disposizione per contrastare l’impatto disgregatore della mercificazione e della finanziarizzazione. Il tutto in contesti sociali precarizzati e frammentati, nei quali il tema della distribuzione delle ricchezze, quello della tutela dell’ambiente, dell’uso delle risorse produttive, delle guerre in corso e minacciate e delle migrazioni appaiono strettamente intrecciati alla lotta alla povertà e alle disuguaglianze. L’esplodere della crisi ambientale, infatti, spazza via vecchie certezze, riscrive gerarchie, priorità, ridisegna i nuovi termini del conflitto. Stare dentro questo mutamento epocale non è semplice, ma è su questo terreno, sulla capacità che avrà di varcare nuove e inesplorate frontiere che si gioca non solo la scommessa per l’esistenza stessa della sinistra, ma perfino della sopravvivenza del pianeta.

Come muoverci e cosa fare richiede, quindi, risposte complesse e uno sforzo straordinario.

Per fare fronte ad un simile scenario occorre una sfida politica, programmatica, di contenuti e obbiettivi percepibili dai cittadini, dai giovani. Oggi, chi ha bisogno non ci vede e non ci incontra, non ci capisce quando in maniera sterile contrapponiamo il reddito di cittadinanza a un lavoro che si sta progressivamente trasformando, creando nuovi scenari e nuove sfide per la sua tutela. La Cgil con il suo congresso sembra aver dato un segnale utile e carico di importanti aspettative.

Da parte nostra, pur criticando l’impianto inadeguato di queste misure, non possiamo negare che la misura del “reddito di cittadinanza” messa in campo dal governo, assieme a quota 100, si rivolgano e parlino a chi ha bisogno, alla sofferenza diffusa nel corpo sociale. Non sappiamo se il meccanismo individuato - assolutamente pasticciato, contraddittorio, fragile — funzionerà. Non sappiano se eviterà che si consumino imbrogli. Non vi è dubbio, però, che da tempo non vi era stata un’attesa, un’attenzione e una sintonia estesa da parte dei cittadini verso un provvedimento del governo. Non ne auspichiamo pertanto il fallimento. Occorre invece riconoscere che si è posto al centro del dibattito pubblico, dopo decenni di afasia, il nodo della protezione sociale. D’altra parte, la sconfitta della sinistra nel mezzogiorno nasce da un bisogno di cambiamento forte, dalla critica a 20 anni di assenza di politiche pubbliche (e dunque di una domanda di redistribuzione economica che combatta l’acuirsi di ingiustizie e disuguaglianze), di lotta ai privilegi, al clientelismo, al nepotismo. O la sinistra prende la bandiera della riforma della politica, soprattutto nel Sud, oppure non riesce a incontrare questa domanda di cambiamento che sfocia nel sostegno a proposte semplificate, ribellistiche e populiste.

Per queste ragioni, la sfida che sollecitiamo deve coinvolgere tutti i livelli di governo, richiede un giudizio su quanto compiuto e una richiesta di profondi mutamenti nella qualità e negli indirizzi delle scelte compiute. Vale anche per la nostra Regione, in relazione a settori decisivi come la sanità, le politiche sociali, le politiche industriali, per il lavoro e lo sviluppo. Giudizi e comportamenti che comporterebbero, per iniziare, la necessità di superare quella visione accentratrice, ridando rilevanza ai sistemi territoriali di sviluppo, per lo stesso utilizzo dei fondi europei. Giudizi e cambiamenti, inoltre, che dovrebbero provocare una vera e propria svolta in materia ambientale, per la ripubblicizzazione di beni comuni come l’acqua, per una riarticolazione dei trasporti che recuperi e rilanci il sistema e le reti che il centrosinistra seppe progettare e realizzare, prima dei disastri del governo Caldoro. Una svolta e un’accelerazione nella gestione integrale del ciclo dei rifiuti che rappresenti una risposta di governo alle vacuità della richiesta di nuovi inceneritori, oltre che un chiarimento sulla qualità, l’allocazione e la realizzazione degli impianti di compostaggio.

La sanità, a esempio, forse risanata dal punto di vista dei bilanci, certamente in recupero sul terreno dei Livelli Essenziali di Assistenza, ha ancora una lunga rincorsa da compiere per assicurare un servizio efficiente e di qualità, nonostante lo spirito di servizio e le straordinarie competenze degli operatori. Ancora troppa è l’ingerenza della politica, così come troppo sono ancora gli affari (e i malaffari) che si fanno sulla salute dei cittadini. Inoltre, il piano per il lavoro indica di certo una strada utile e da sperimentare, tuttavia la vera svolta si determinerebbe solo attraverso un piano di rilancio dell’industria e della ricerca con la messa a sistema delle eccellenze che potrebbero andare a costituire la trama su cui tessere uno slancio verso l’innovazione e la crescita occupazionale. Un analogo giudizio positivo si potrebbe avanzare circa le misure in favore degli studenti (trasporto, copertura di borse di studio e altre piccole, ma significative agevolazioni che sono state introdotte dalla Regione).

Serve anche una riflessione e un bilancio vero sui risultati ottenuti nel governo di tanti Comuni. L’inerzia, insieme alle divisioni, consegnerebbero invece anche il Mezzogiorno, le sue istituzioni a una destra demagogica e pericolosa, aprendo davvero una stagione umiliante e senza prospettive.

Questo stesso spirito di sfida al cambiamento deve orientare la nostra iniziativa in tutte le realtà, nei Comuni capoluogo, a partire da Napoli.

Valutare 10 anni di governo di una città complessa e bella come Napoli, non è cosa semplice. E certamente non può essere fatto in modo sbrigativo. Tuttavia ci deve accompagnare la consapevolezza che rimangono nodi e problemi seri non risolti. È una riflessione che non può essere fatta in modo sbrigativo e che però non può essere nemmeno rimossa e rinviata sine die. La stessa storia della costituzione della Città metropolitana merita di essere indagata e discussa. Le cose che non vanno sono evidenti, ma non solo per i limiti della legge Del Rio e il rimpianto per le vecchie province. Molte responsabilità sono da addurre anche una leadership spesso disinteressata alle sue sorti, se non come mera camera di compensazione della città di Napoli. È necessario, invece, battersi qui e ora per cambiare la qualità del governo di aree complesse come quella napoletana, affrontando con coraggio i limiti di alcune scelte compiute e ponendosi rimedio in modo intelligente.

Ecco perché chiediamo a tutti un confronto pubblico, un dialogo, un dibattito anche acceso, ma franco, diretto, costruttivo. Perché ora è il momento di reagire, ridare senso e funzione alla sinistra e a un campo democratico più largo. È il tempo dell’unità delle forze che hanno a cuore libertà e uguaglianza sociale, senza appelli generici e onnicomprensivi, ma indicando priorità, scelte di fondo, prospettive di lavoro.

Per rendere chiaro il senso di questa sfida, i suoi contenuti, gli obbiettivi che organizzeremo una iniziativa pubblica, all’indomani dell’iniziativa programmatica nazionale di Articolo Uno prevista per il 16 e 17 del mese di febbraio.