CASERTA. Il mancato decollo del policlinico ha avuto pesanti ripercussioni sullo sviluppo della sanità in provincia di Caserta. Al di la delle ricadute sull’indotto che Terra di Lavoro ha perso, la mancata apertura dell’ospedale universitario ha determinato sfasature importanti anche sull’organizzazione dei posti letto nei presidi ospedalieri dell’Asl dove già si deva fare i conti con le disposizioni della Regione Campania che hanno ridimensionato drasticamente la rete ospedaliera.

Preoccupato il segretario della Funzione pubblica della Cisl Nicola Cristiani che cerca di analizzare la situazione partendo dai numeri delle strutture. «Bisogna partire dalla questione policlinico per capire le difficoltà che oggi vivono i singoli nosocomi di Terra di Lavoro - ha spiegato il sindacalista - l'intero sistema assistenziale della provincia per quello che riguarda i presidi ospedalieri, subisce le conseguenze dei ritardi sui lavori al policlinico, dove è prevista l'allocazione di 500 posti letto, di conseguenza noi partiamo da una situazione iniziale di meno 500. Nonostante la struttura non sia ancora stata realizzata, la Regione, nel piano sanitario già assegna questi posti letto alla provincia di Caserta che, nei fatti, parte con un handicap pesante rispetto al resto della Campania. Se a questo aggiungiamo che in tutta la regione abbiamo una percentuale di 3.4 posti per 1000 abitanti, è che in provincia di Caserta invece la percentuale scende al di sotto del 2.9 percentuale arriviamo giá ad una differenza di mille posti letto». Cristiani sottolinea come i dati per la provincia di Caserta sono ancora maggiormente allarmanti se si prendono in considerazione le conseguenze degli accorpamenti e del piano di ristrutturazione della rete ospedaliera dell’Asl. «A questa già enorme differenza vanno sommate le conseguenze degli accorpamenti, le soppressioni e le riconversioni come nel caso del presidio di San Felice a Cancello che è stato trasformato in ospedale della riabilitazione e di comunità - ha sottolineato il sindacalista della Csil - dopo che erano state messe a norma le sale operatorie, si assiste a scempi come quello di Marcianise dove il discorso degli ospedali riuniti non è mai decollato». Cristiani si sofferma proprio su quest’aspetto evidenziando le difficoltà che si registrano con la ginecologia e l’ostetricia. «La situazione a Marcianise del reparto di ostetricia e ginecologia è così critica innanzitutto per questioni logistiche, il reparto si sviluppa su due livelli e già questo rappresenta la prima criticità - ha spiegato Cristiani - la mancata allocazione del reparto su un unico piano genera indubbiamente caos, se a questo ci aggiungiamo che esistono 5 posti letto che cambiano destinazione d'uso all'occorrenza passando da i.g.v. a pre parto, arriviamo alla situazione di collasso che si prospetta». E qui subentra il discorso della fusione con Maddaloni che non è riuscita a soddisfare il fabbisogno di una fasce di popolazione ampissima. «I posti letto sono in tutto 17 e l'utenza che serve il presidio è divenuta comprensiva anche della zona di Caserta est che prima era di competenza dell'ospedale di Maddaloni - ha dichiarato - tutto questo porta all'amara conclusione che le pazienti sono costrette purtroppo spesso e volentieri a passare la degenza in barella. I presidi di Marcianise e Maddaloni erano DEA di primo livello, oggi la nuova programmazione ospedaliera prevede 2 presidi riuniti, di conseguenza ostetricia e ginecologia stanno a Marcianise che si occupa anche di elezione e ricovero ed e polo universitario, mentre a Maddaloni è rimasto il pronto soccorso». Cristiani spiega qual è la posizione del sindacato per cercare di superare questa situazione di impasse. «La soluzione sarebbe sicuramente quella di ridurre gli sprechi con una revisione ed una internalizzazione di tutti gli appalti pubblici, in modo da risparmiare il 50% che andrebbe poi reinvestito in tecnologia e occupazione - ha sottolineato - Nel caso particolare di ostetricia e ginecologia con il decreto Lorenzin che prevede un ulteriore taglio di 750/1000 punti nascita, a breve saranno a rischio anche i presidi di Piedimonte Matese e Sessa Aurunca, mentre a Santa Maria Capua Vetere, il titolare della casa di cura Santa Maria della Salute ha chiuso il punto nascite licenziando il personale, e l'ospedale di Capua è già chiuso da tempo. Numeri e fatti a parte io trovo comunque assurdo che una donna ad esempio della comunità montana debba fare una trasferta per usufruire dei servizi di ostetricia e ginecologia».

Rosa Orlando