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09:25:25 CASERTA. Antonio Farinari è stato confermato segretario provinciale della Uil al termine del 17esimo congresso confederale.

Segretario, ormai per la Uil Caserta si può considerare una “scuola di sindacato”.

«Ringrazio la segreteria regionale e le Federazioni nazionali di categoria per il rilievo che hanno dato al nostro territorio individuando ulteriori tre dirigenti sindacali provenienti da Caserta in ruoli di responsabilità categoriali e confederali regionali e per avere scelto il Segretario organizzativo della CST quale presidente dell’INPS della Campania, una delle più grandi strutture in Italia».

Qual è lo stato di salute della Uil?

«Abbiamo affrontato questa fase congressuale in un momento di ottima salute per la Uil, perché è accreditata dal Censis con il migliore rapporto tra lavoratori e pensionati iscritti tra i sindacati nazionali e perché è anche l'unico in crescita. A fronte di una crisi forte nel mondo del lavoro, che ha determinato una flessione delle adesioni al sindacato, la UIL mantiene la sua struttura e non riduce le adesioni».

Crede che il sindacato rivesta ancora un ruolo centrale nel nostro Paese?

«Il lavoro sindacale ha conosciuto anni difficili, segnati da una campagna di delegittimazione che ha tentato di marginalizzarne il ruolo. Tuttavia è apparso evidente a tutti, anche in conseguenza delle politiche attuate dagli ultimi governi, che la rappresentanza dei cittadini e dei lavoratori è essenziale per rilanciare lo sviluppo del paese. In questo ribaltamento dello scenario, la Uil ha avuto un ruolo significativo e le battaglie portate avanti che hanno contribuito alla ripresa del dialogo sociale e hanno determinato una rinnovata fiducia da parte dei lavoratori. E’ proprio nella capacità che la Uil ha avuto ed ha di concentrarsi sul merito delle questioni, attuando una strategia riformista e riformatrice, che risiede il più significativo contrasto ai tentativi delle forze esterne di ridurre al silenzio il sindacato per attuare politiche contrarie agli interessi dei lavoratori. La UIL sta cambiando il modo di fare sindacato, passando da un sistema, basato solo sulle articolazioni 'orizzontali' dei territori e 'verticali' delle categorie, ad uno 'a rete', rafforzando così i rapporti e le relazioni fra strutture. Stiamo realizzando un coinvolgimento più attivo dei delegati sindacali e assicuriamo loro presenze significative nei direttivi delle categorie e dei territori».

Oggi il sindacato è costretto a confrontarsi con una crisi economica fortissima dovuta alla mancanza di lavoro che rende il Sud più debole.

«La mancanza di lavoro, in particolare nel Mezzogiorno, non costituisce solo un problema economico, in quanto riduce anche la dignità delle persone. La politica deve avere una visione, che guardi al prossimo futuro, delle modalità attraverso le quali riorganizzare la società, regolare i tempi del lavoro e del non lavoro, soddisfare le esigenze primarie della popolazione. Oggi il lavoro ripetitivo viene sostituito da macchinari sempre più sofisticati e tecnologici e prossimamente da robot umanoidi, e l’introduzione sempre più massiva dell’intelligenza artificiale sostituirà in parte anche il lavoro intellettuale. In questo contesto necessita una elevata formazione specialistica, anche continua, per garantire un lavoro che richiede competenze avanzate nei settori specifici. Non è più il tempo di improvvisarsi lavoratori, ma occorre formarsi per accedere a un lavoro che è sempre più qualificato».

Come vede il Paese dopo il voto del 4 marzo?

«L’esito della campagna elettorale del 4 marzo ha visto due vincitori: al nord il centrodestra, al sud il Movimento 5 stelle e ciò ha sconvolto il quadro politico: il centrosinistra ne esce fortemente ridimensionato e la sinistra assume un ruolo residuale. Il corpo elettorale al nord ha creduto nella proposta di Salvini, il quale ha promesso meno tasse, più sicurezza, lotta agli immigrati, l’abolizione della legge Fornero. Al sud, invece, è passato il messaggio del reddito di cittadinanza e della decrescita possibile. L’augurio che ci possiamo fare è che la UIL non segua le mode, rimanga ancorata al riformismo e alla laicità e che, come sempre, giudichi il governo dai contenuti, dalle politiche che intende portare avanti e osservando a chi si rivolge, se agli interessi dei soliti noti o al lavoro, alla produzione e ai ceti meno abbienti. Infatti la lunga crisi economica degli ultimi dieci anni ha ancora una conseguenza negativa sui livelli occupazionali, e in particolare sui lavoratori estromessi dal lavoro compresi nella fascia 55-65 anni, e sui giovani, che non riescono ad entrare nel mondo del lavoro. Nella non invidiabile classifica della disoccupazione giovanile, in Europa l'Italia è penultima, davanti solo alla Grecia».

Il Governo ha affrontato il tema del contrasto alla disoccupazione con gli ammortizzatori sociali, da un lato, e con il Jobs Act, dall'altro.

«Gli ammortizzatori sociali sono stati utili e costituiscono l’unico strumento reale di supporto a chi ha perso il lavoro, ma sono stati comunque insufficienti, ridimensionati anche dai decreti attuativi del Jobs Act che, oltre al definitivo accantonamento della “cassa in deroga”, hanno abrogato la Cassa Integrazione in caso di cessazione, hanno ridotto la durata degli interventi, che non potranno superare i 24 mesi nel quinquennio (che da fisso diventa “mobile”), hanno limitato fortemente l’utilizzo della cassa integrazione a “zero ore”, hanno riportato il contratto di solidarietà all’interno della Cigs quale causale dell’intervento e, soprattutto, hanno aumentato in maniera importante i costi di accesso alle integrazioni salariali. Il rischio che ne consegue è la possibilità che aumentino i licenziamenti collettivi».

Come si può creare sviluppo?

«La Uil chiede al Governo interventi differenti, con investimenti, pubblici e privati, in innovazione, ricerca e infrastrutture. Questa, per la Uil, resta la via maestra per lo sviluppo. Al giorno d’oggi sono sempre più determinanti l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione che stanno già trasformando il mondo del lavoro, ma sebbene prospettino una implementazione della qualità e dell'efficienza della produzione, se non sono accompagnate da strumenti di controllo rischiano di creare povertà».

Il sindacato e l’Europa.

«Oggi si deve guardare con maggiore interesse ai rapporti nella Confederazione Europea dei Sindacati, visto che la sfida perenne e globale tra capitale e lavoro ha rafforzato il capitale a sfavore del lavoro. Le dinamiche del mondo del lavoro e delle tutele sociali hanno scavalcato i confini nazionali e si confrontano di continuo con le questioni internazionali, nelle sedi istituzionali europee e negli uffici delle multinazionali o dei più influenti Governi mondiali. Per questo motivo la dimensione del Sindacato non può più essere solo quella locale o nazionale. La Uil lo ha compreso per tempo e perciò ha sostenuto un suo dirigente sindacale alla Segreteria generale della CES, perché il Sindacato europeo e quello mondiale devono essere più decisi e incidere con più efficacia su decisioni che sono destinate a condizionare la vita quotidiana dei nostri lavoratori».

Il Bacino di crisi di Caserta.

«La Uil di Caserta è per guardare oltre la crisi, ma non dobbiamo lasciare soli i lavoratori che hanno perso il posto durante la fase di crisi, sia quelli espulsi dalla produzione, i cosiddetti “esuberi strutturali”, sia chi è ancora in difficoltà. Gli accordi istituzionali con la presidenza del Consiglio e con i diversi Governatori della Regione sin dal 2008, erano tutti finalizzati alla rioccupazione e ad una concreta possibilità di reindustrializzazione. Il Sindacato casertano non ha mai chiesto strumenti di politiche passive ma ha sempre puntato su politiche attive e sulla concreta possibilità di sviluppo. Abbiamo ottenuto invece solo misure temporane e di sostegno al reddito, peraltro scadute da tempo, e successivamente si sono negoziati nuovi strumenti di politiche attive del lavoro, che hanno riguardato una piccolissima parte del problema, ma con risultati molto marginali, in quanto nessuno di questa platea di lavoratori ha trovato un’occupazione stabile».


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