Dopo un’odissea che va avanti dal 1988, finalmente il caso di R. C. ad ottobre verrà discusso nell’aula del tribunale di Napoli. Aveva soltanto due anni quando R.C., nata a Maddaloni ma residente a San Felice a Cancello, le viene diagnosticata una leucemia linfoblastica acuta.

Ragion per cui le è necessaria una trasfusione di sangue e viene ricoverata presso la clinica pediatrica della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Napoli, restando in reparto per un mese. Da quel momento è iniziato il calvario. La paziente risultò in breve tempo positiva ad alcuni markers dell’epatite B che, però, non si sviluppò. Nel 1990, poi, venne riscontrata la positività ad anticorpi anti Hcv e nel 1996 ascoltò la diagnosi di epatite cronica. Dopo quattro anni aver ottenuto nel 2006 l’indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, secondo la legge 210 del 1992, la Commissione Medica Ospedaliera, istituita presso il Dipartimento Militare di Medicina Legale di Caserta, nel maggio 2010, confermava l’esistenza del “nesso causale tra trasfusione ed epatite cronica Hcv”. Secondo il rappresentante legale della paziente Luca Di Lorenzo, specialista in diritto sanitario e responsabilità per colpa medica dello studio Di Lorenzo and Partners, “risultano sussistenti tutti i classici criteri riconosciuti dalla dottrina medico-legale alla base del riconoscimento del nesso causale, ovvero quello cronologico, topografico, della continuità nella seriazione dei fenomeni, dell’esclusione, dell’adeguatezza qualitativa e dell’efficienza quantitative”. Inoltre, a quanto si evince dal ricorso mosso dal legale Di Lorenzo esiste una responsabilità dei medici dovuta anche al fatto che al ministero della Salute, ben prima dell’approvazione del Piano Sangue nel 1994, avevano tutti gli strumenti per valutare i rischi legati alle emotrasfusioni.: “Come emerge dalla nota del 2009 del servizio di Immunoematologia non furono espletate indagini sui donatori e pertanto è pacificamente sostenibile che la condotta dei sanitari che ebbero in cura la signora R.C. sia da considerare censurabile”. La 31enne ha saputo soltanto nel 2010 della mancata effettuazione dei controlli, muovendosi quindi legalmente contro l’azienda ospedaliera Federico II. Nel ricorso presentato dal legale rappresentante Di Lorenzo si chiede il risarcimento per danno biologico permanente, per il danno morale “rappresentato dalle sofferenze patite in questi anni” e per il danno esistenziale patito “se sol si considera che il virus infettivo di cui è affetta le impedisce di instaurare e coltivare serenamente relazioni sociali d’ogni tipo”.