CASERTA. Parliamoci chiaro: Edgar Sosa (foto Gennaro Buco) è stato il ritratto delle speranze e dei sogni del popolo bianconero. Uno degli rarissimi casi in anni tristi quasi in ogni estate, certamente per la troppa solitudine di Lello Iavazzi, a cui andrebbe la cittadinanza pluri-onoraria della provincia di Caserta.
Di una provincia che vive ancora la Serie A grazie ai suoi sacrifici. Dicevamo di finestre di mercato da cui difficilmente entravano raggi di sole pieni di talento, un po’ per colpa del maledetto Dio Denaro, un po’ per giemme non proprio all’altezza (Atripaldi su tutti, capace di portare all’ombra della Reggia un solo giocatore-campione, Jeff Brooks), un altro po’ per le gestioni societarie a tratti molto confusionarie. Fatto sta che in quell’11 agosto dell’anno scorso, quando arrivò la notizia boom dell’’ingaggio di un folletto coi capelli ricci, campione d’Italia con Sassari nel ruolo di sesto uomo di lusso, che veniva da esperienze non proprio esaltanti, guidate dal solito portafogli pieno, tutto il popolo a spicchi bianconero ebbe la sensazione che qualcosa potesse cambiare per davvero. Arrivava all’ombra della Reggia un piccolo re dal carattere ribelle, uno 30enne a cui vizi e virtù del popolo statunitense gli stavano cuciti proprio bene. Ma era uno incapace di infiammare le folle, di risolvere i momenti clou delle partite, di mettersi in regia e far sognare una Reggia del basket intera. Mani d’oro, egoismo che spesso faceva imbufalire tutti, ma che era a volte una delle migliori cose da fare. Non che fosse capace di vincere completamente da solo, ci mancherebbe. Si gioca 5 contro 5 e non 1 contro 5 e questo, banalmente si sa. Ma in quei capelli ricci, che a volte significavano capricci, l’ambiente Juvecaserta aveva riposto sogni, ambizioni, speranze: delle sue mani aveva fatto un credo, soprattutto dopo un inizio di campionato strabiliante. Al di là dei numeri (quasi 20 punti di media a partita, nella top five deli realizzatori della Lega A), che potrebbero certamente ingannare, Sosa era quel talento cristallino che forse aveva soltanto bisogno di essere gestito meglio. A volte anche coccolato, perché no. Sia dalla società, sia dall’allenatore, sia dei compagni stessi. “Tutti i giocatori sono uguali”, afferma un ‘detto’ che nello sport molte volte la fa da padrone, spazzando via un qualsiasi talento fatto di ego smisurato. Noi non crediamo a queste parole, invece. Perché chi è un fenomeno (e Sosa lo è, e continuerà ad esserlo) si deve sentire tale sempre, per poter fare giocate da fenomeno. E scusate il giro di parole. Abbiamo parlato spesso al passato di Sosa, perché è notizia di pochi minuti fa che l’atleta di passaporto dominicano ha risolto consensualmente il contratto con la società di Pezza delle Noci: un’altra sconfitta di lusso per tutto l’ambiente operativo. I motivi sarebbero di carattere personale, ma scusateci se non crediamo neanche a questo. Dopo la conferma di Dell’Agnello, ecco la risoluzione con Sosa. Non sapremo mai se si tratta di un caso, certamente si tratta dell’ennesimo passo indietro. Ma ci sentiamo di ribadire che Edgar Sosa entra di diritto in quella serie di piccoli campioni che hanno fatto girar come una bambola (citando Patty Bravo), la tifoseria bianconera. Nonostante un rapporto che negli ultimi tempi si era deteriorato terribilmente. Edgar Sosa e la società Juvecaserta hanno deciso di dividersi, nell’era di giocatori mediocri e semisconosciuti che affollano il campionato di Lega A, dopo 8 mesi di ‘odi et amo’. Il trono da re, per ora resterà vuoto: quell’affascinante numero 4 volerà via dalle casacche bianconere, così come ogni residua speranza di playoff. Edgar Sosa, quando prenderai il primo volo verso chissà quale luogo, ricorda che hai avuto sulle spalle i sogni e la fame di riscatto di un popolo troppo innamorato. Anche di te.
Alfredo Marotta
